Per Cuoc@ Nostrom@ di ottobre, ho avuto il piacere e l’onore di scambiare quattro chiacchiere con Marina Ambrosino, la “mamma” di Assafà. In videocollegamento dalla sua (e mia quando sono a Procida) Solchiaro a Lille, Marina mi ha spiegato com’è nato il mitico food truck procidano, parlandomi anche dei progetti futuri, per l’imminente apertura di una sede stabile dell’attività in Piazza dei Martiri.
Cucenellista: Puoi raccontarmi com’è nata l’idea del food truck, cosa molto originale sul territorio procidano? Come avete scelto il nome e cosa rappresenta per voi?
Marina: Allora, l’idea del food truck è venuta un po’ per caso, perché io e il mio ex compagno siamo andati a fare vari giri per l’Italia e abbiamo visto questa nuova realtà che fuori è molto forte, attira soprattutto i giovani, che non vogliono perdere tempo seduti a un ristorante, non amano essere “ingessati” seduti ai tavoli, vogliono una certa libertà. Che poi abbiamo pensato ai giovani, ma in realtà questa nuova modalità non è una prerogativa solo dei giovani, ma di tutto un settore turistico che ama il movimento, adora andare in giro e non perdere 2 ore al ristorante. Quindi, mi dicevo, lo street food sul territorio non c’è, è una cosa nuova, non sapendo, però, che fosse demonizzato… Il primo anno abbiamo subito l’impossibile: denunce, ricorsi al TAR, chat minatorie, di tutto di più… Ogni giorno venivano i vigili alle sei del pomeriggio quando dovevamo fare gli aperitivi. Insomma, è stato un anno talmente burrascoso (l’inizio, da maggio fino ad agosto) che a un certo punto ce ne siamo andati fuori.
C: Quando è nato precisamente il food truck?
M: Nel 2019, il 25 aprile, e a metà agosto abbiamo preso la decisione di andarcene da Procida. Siamo andati a fare dei festival dello street food in Altitalia e abbiamo fatto una bellissima esperienza: abbiamo conosciuto colleghi e ci siamo evoluti, perché, certo, noi eravamo nuovi del settore, per cui abbiamo avuto anche tante dritte, tanti consigli per far funzionare meglio il furgone, è stata un’esperienza formativa bellissima! Diciamo che per noi all’inizio è stata una fuga, perché non ne potevamo più però, in effetti, è servita a strutturarci e farci tornare più forti di prima: a un certo punto, ho detto “scusate, ma per quale motivo ci dobbiamo stare a tutte queste minacce e volontà di farci fuori?” Ho detto “noi siamo una realtà, la dobbiamo far funzionare!” E siamo tornati a settembre-ottobre, cominciando poi a lavorare di notte, con i giovani a piazza posta. E di là, poi, piano piano, ci hanno conosciuti sul territorio. Al di là dei turisti, poi, anche i giovani procidani ci hanno apprezzato.
Purtroppo, però, a un certo punto è venuta la pandemia che ha ammazzato completamente la nostra attività, perché il servizio ambulante non poteva essere proprio fatto su tutto il territorio e quindi abbiamo pensato, in quel momento, o chiudiamo, oppure facciamo un laboratorio di cucina da abbinare comunque al furgone. Quindi, normalmente, in maniera stabile, lavoreremo al laboratorio e useremo il furgone soprattutto nella buona stagione, nei fine settimana: insomma nei momenti in cui serve, andiamo noi dalla gente nei posti in cui la gente si riunisce.
Diciamo che in linea di massima abbiamo trovato una nostra collocazione sul territorio ma, soprattutto, abbiamo avuto una soddisfazione molto grande al livello mediatico, con tanto di segnalazioni nelle riviste e guide internazionali.
C: Ho notato che anche le recensioni di Tripadvisor su di voi sono meravigliose…
M: Sì, abbiamo avuto una citazione su Lonely Planet che dicono essere il vangelo dei turisti. Adesso siamo usciti su questo inserto, questa guida del National Geographic, dove praticamente veniamo segnalati come posto dove mangiare. Quindi, diciamo che il lavoro, il sacrificio, tutto quello che noi abbiamo in qualche modo voluto mantenere, ci ha dato le soddisfazioni che speravamo. E speriamo di andare avanti in questa nuova modalità.
Il nome “Assafà” effettivamente ha in sé una profezia, perché mia nonna materna, quando io avevo una preoccupazione – non so, ad esempio dovevo fare l’esame di maturità – come ragazza dicevo “mamma mia, nonna, devo fare l’esame di maturità” e lei mi diceva sempre “Assafà ‘a nonna, assafà!”, nel senso di tipo un “inshallah”, un “lascia che sia”. In questo termine, però, allo stesso momento, c’è anche il discorso del raggiungere un obiettivo tanto desiderato e cioè “finalmente ho ottenuto quello che ho sognato”. E per noi era proprio questo, anche perché io uscivo da una malattia molto grave e in quel momento sono stata supportata da questa persona che in qualche modo, come dire, mi ha fatto vedere il futuro, ha detto “tu adesso sì, ti devi curare e poi, un giorno, faremo una cosa assieme.” Purtroppo, poi, lavorando insieme abbiamo avuto dei problemi, sono cose che capitano.
In questo momento per la gestione di Assafà entra con me mio figlio maggiore, anche lui cuoco, che ha lavorato nei ristoranti procidani: ha iniziato alla Graziella, poi è andato al Gorgonia, poi l’anno scorso ha fatto anche dei panini di mare alla Lingua, insomma, è un ragazzo già inserito nel contesto della ristorazione e praticamente andremo a fare tante cose nuove e belle, perché questo laboratorio, avendo le attrezzature necessarie per l’abbattimento del pesce eccetera e eccetera, ci consentirà di fare anche cose interessanti, cose del territorio… Perché, finora, è vero che la nostra priorità è sempre stata la tradizione: le ricette di mia nonna, la parmigiana alla procidana, la pizza di carciofi, quella che di solito si fa per Pasqua, il tortano, tipo come se fosse un babà rustico, varie cose nostre. Però, le cose di pesce, per via dell’haccp, non le potevo avere. Invece, adesso, avendo questo laboratorio, etichette di tracciabilità, abbattitore, eccetera eccetera, la nostra offerta si allarga, o meglio, non solo si allarga, ma si radica ancora di più sul territorio con il rispetto della tradizione, anche con quel tocco di innovazione che praticamente ci porta nel futuro. Poi, non solo questo mio figlio Marco, il primogenito, lavorerà con me in loco, ma io ho un altro figlio di 25 anni che vive a Londra ed è il manager della cucina dello Shangri-la London, uno dei più grandi alberghi di Londra. Per cui, anche lui ha il suo background di conoscenze, di esperienza, di gestionalità – perché poi ci vuole anche quello, per questo mestiere non serve solo la creatività, non ci deve essere solo rispetto della tradizione, ma ci vuole anche una managerialità, elemento importante per far sì che l’impresa abbia successo. Io me lo auguro perché adesso, è vero che il furgone ha trovato un suo perché ed è anche stato apprezzato in maniera quasi inaspettata, devo dire, perché in tante difficoltà ho sempre trovato la strada per fare qualcosa di originale, di apprezzabile, anche non sapendolo… Perché sai, quando si fa una cosa nuova, è sempre un punto interrogativo.
Per dirti, quando praticamente non ci hanno dato la concessione per avere dei tavoli a Terra Murata (“perché voi come ambulanti non potete avere la concessione per i tavoli”), io mi sono inventata questa cosa delle stuoie, con i cuscini: idea apprezzatissima, sono venuti da tutto il mondo a dire che era una proposta che in qualche modo coniugava un certo relax alla possibilità di apprezzare i cibi nostrani.
E questa cosa non c’era sul territorio: o andavi al ristorante e aspettavi lì seduto, ingessato, anche con i bambini (il che non è sempre molto comodo). Invece, la situazione creata da noi offre una certa libertà di movimento – sulle stuoie si possono lasciare i bambini liberi lì intorno – ed è stata molto apprezzata e segnalata nei blog per turisti che vanno in giro con i bambini. Quindi devo dire che non mi lamento di questa mia impresa.
C: E invece il sottotitolo “Apparizioni Gastronomiche” come vi è venuto in mente?
M: Allora, è stata sempre una mia idea: sappiamo che a Procida noi abbiamo questa tradizione millenaria dell’apparizione di San Michele proprio lì, a Terra Murata, che ha scacciato i Saraceni e quindi noi abbiamo anche seguito un po’ la storia di questa linea di San Michele. Praticamente ci sono 7 santuari che partono dalla Cornovaglia e arrivano fino a Gerusalemme, passando per l’Italia, precisamente da Torino, dove c’è la Sacra di San Michele. Poi, nel Gargano, c’è un altro santuario. Quindi in Italia, scendendo, questa linea interessa due santuari di San Michele e noi il furgone rosso lo andammo a prendere proprio a Torino: per noi c’è un legame con la figura di questo Arcangelo che non è solo di tradizione cattolica, ma è legato anche al paganesimo. C’è una storia molto, molto antica, ancestrale sull’impatto di Arcangelo che vinse il male e questa linea è quella che lui tratteggia per cacciare il diavolo, Lucifero, all’inferno: c’è dietro l’idea di rivalsa sul male. Ovviamente è una cosa difficile da capire e da associare al cibo, però, siccome ci trovavamo lì, in questo posto dove ci sta una forte energia dovuta a questa tradizione popolare a cui noi crediamo fortemente, per noi l’associazione con le “apparizioni gastronomiche” era stata evidente. Che poi, la devozione verso questa importante figura simbolo della giustizia che trionfa è una cosa diffusa nel mondo, non solo di folklore procidano. E quindi sul furgone ho addirittura un’immagine di San Michele che tiene giù la spada – perché noi non vogliamo la guerra – e tiene su la bilancia, come a dire “la giustizia deve trionfare”… Ci è piaciuto tenere sempre questo pensiero per questo Arcangelo verso cui mia nonna era devotissima. Lei diceva sempre “Tu quando hai una difficoltà rivolgiti a San Michele perché San Michele ti aiuta sempre.”
C: È bella questa spiegazione, perché uno effettivamente non ci pensa… Però, il fatto delle “apparizioni gastronomiche” legate a un food truck per esempio, che ne so, in un orario dove tutto è chiuso, oppure in un posto dove uno non si aspetta di trovare qualcosa da mangiare, appare il furgone e ti risolve la situazione…
M: E infatti su questa guida di Lonely Planet c’è scritta questa cosa, che io reputo diciamo importante, perché dice “In posizione strategica, quasi provvidenziale” quasi a dire, caspita, quando si arriva là si dice “Assafà”, c’è il furgone! [ride]
C: Come trovare l’acqua nel deserto praticamente!
M: Sì, sì, infatti, e anche questa cosa, a dire la verità, mi riempie di orgoglio, perché lassù nessuno avrebbe mai immaginato di creare una vita, perché lì era un posto dimenticato da Dio, completamente abbandonato al degrado e da quando noi ci abbiamo “puntato questo mirino gastronomico” Terra Murata sta rinascendo: rinasce con Palazzo D’Avalos – proprio nel 2019 fu la prima volta in cui Libero De Rienzo ci fece il primo festival del cinema – Santa Margherita ha avuto i fondi per essere restaurata con il cenobio benedettino, anche l’abbazia adesso ha avuto i fondi per rinforzare il costone… È stato come un cerchio che si chiude, dove noi abbiamo avuto la nostra parte, favorendo quasi la rinascita di questo posto. Sono molto contenta di aver partecipato in qualche modo a questa rinascita di Terra Murata, è una cosa molto bella.
C: Anche tu, come me, sei legata a Solchiaro. In che modo le caratteristiche di questa zona entrano nella cucina di Assafà?
M: Beh, qua, prima di tutto la fa da padrone il limone (ce l’ho dietro alle spalle qui, come puoi vedere.) Facciamo tutto col limone… La marinatura delle alici per noi non esiste farla con l’aceto… Col limone ci facciamo qualsiasi cosa: io faccio la torta con la crema di limone o la limonata… Noi abbiamo “spaccato”, come si suol dire, con acqua e limone, né zucchero né niente, solo un po’ d’acqua frizzante. E abbiamo fatto le file, per dire, a volte la semplicità e la genuinità premiano – perché poi diciamoci la verità, quando senti “granita al limone”, spesso, alla fine sono dei surrogati del limone, non trovi il limone premuto davvero, soprattutto in stagione diversa da quelle in cui c’è il limone. Dal mese di luglio in poi la limonata non la faccio più, perché non è di stagione. Le torte al limone le continuo a fare, perché il limone lo premo, lo congelo e lo posso cuocere, fare una crema, ma non posso usarlo come bevanda fresca o farci la granita, anche se è congelato, perché si ossida, perde le sue caratteristiche.
Anche la marinatura si può fare col limone congelato. Invece, la limonata, a un certo punto dico proprio “non ce l’ho” perché non è di stagione. La particolarità della nostra impresa è proprio questa: dire “no” quando non c’è, non è che la devi dare per forza e sempre, la stagionalità è importantissima! Il prodotto a chilometro zero del territorio è la bandiera, non si deve prescindere da questo, perché effettivamente per me non è accettabile che noi abbiamo un patrimonio enorme e io devo andare a prendere, per dire, i cavoletti di Bruxelles [ride].
Ribadisco: rispetto del territorio è la cosa più importante. Le nostre nonne avevano questa grande risorsa delle conserve: ad esempio, il carciofo, ti fai un’abbuffata in un mese, ma poi non ce l’hai più, quindi le conserve – adesso ci sono i freezer e vabbè, i cuori di carciofo io li conservo per fare le pizze di carciofo anche durante l’estate – il carciofino sott’olio, le melanzane sott’olio (che ora ci stanno tutto l’anno, prima non c’erano tutto l’anno), i pomodori, tutto questo è una risorsa enorme per la mia impresa.
Anche l’uso delle carni pregiate è una cosa importante, perché ognuno fa panini, però l’attenzione per la qualità del prodotto fa la differenza. Noi abbiamo questo fornitore di carni del beneventano che ha prodotti di filiera, ha anche gli allevamenti, ha tutto controllato. Fornisce questo maialino nero del Sannio e ti fa mangiare una carne che ti fa tornare a quando eri bambina. È questo che fa la differenza, quest’estate c’è stata gente che ha aspettato anche più di un’ora per avere un panino, ma prima di andarsene mi ha detto “è valsa la pena aspettare perché abbiamo fatto un’esperienza di gusto eccezionale”.
Per cui questa è la nostra missione e qui a Solchiaro, oltre ai limoni, abbiamo i fichi, i carciofi, abbiamo tutte le cose nostre, diciamo. Anche per il pesce, con questo mare e con le paranze che arrivano col pescato fresco tutti i giorni, ci sarà una stagionalità, ci sarà pesce fresco tutti i giorni, non ci sarà assolutamente il congelato, perché noi abbiamo voluto così fin dall’inizio: sul furgone non c’è un congelatore… Non abbiamo patate congelate, le facciamo fresche, cotte alla belga, quindi con due fritture, la prima per cuocerle e la seconda per renderle croccanti. Le crocchette di pollo…. Io sul menù ho sbagliato a scrivere, volevo scrivere “crocchette di petto di pollo” e ho scritto “crocchette di pollo” e poi ho pensato “ma mo’ come lo spiego che sono crocchette di pollo fatte da noi” e ho scritto “crocchette di pollo vero” [ride] e tutti quanti, quando vengono, dicono “Noi vogliamo assaggiare le crocchette di pollo vero!” Noi prendiamo questo pollo campese Amadori, allevato all’aperto, senza uso di antibiotici, quindi abbiamo proprio una missione che è quella di tornare a mangiare come si mangiava un tempo.
Tra le cose che è andata di più, ci sta cucuzziello cas’e ove che mia nonna mi faceva sempre a merenda… Tornavo da giocare coi bambini giù alla Corricella sulla spiaggia, perché poi, oltre ad avere la parte paterna qui a Solchiaro, ho la parte materna della Corricella, quindi pesci, le alici fritte a colazione – mio nonno tornava da mare e noi bambini mangiavamo le alici fritte alle 9 del mattino – quindi mia nonna mi chiamava dal muraglione sopra la Corricella per tornare a casa e mi faceva questo panino, diciamo, tipo cuzzetiello scavato, oppure mi faceva la parte di sotto della palatella, dove dentro ci metteva questo zucchino con l’uovo e poi il formaggio, il parmigiano. E noi quest’estate abbiamo dato quest’esperienza di gusto particolare, non la trovi da nessuna parte ed è stata la nostra gioia!
C: se dovessi dire una frase legata alla cucina con queste due espressioni “Amma cucenà” e “Assafà” cosa proporresti?
M: È come se dicessi la stessa cosa, perché fondamentalmente la nostra missione è proprio questa “Amma cucenà cose buone per Assafà”, cose genuine del territorio, questo è quello che facciamo e faremo in futuro e anzi siamo proprio prossimi all’apertura…
C: Ho capito. E sarà tipo un complemento con il food truck? Come si strutturerà questa attività di piazza dei Martiri?
M: È nata come laboratorio che fornisce il materiale al furgone, ma poi, venendo la pandemia, abbiamo capito che doveva essere comunque strutturata, sì, come laboratorio, ma anche come ristorante da asporto. Quindi, sempre street food sarà e con consegna a domicilio sia a pranzo che a cena, in modo da poter fare anche catering, servizio che manca sul territorio. Se io voglio fare una festa a casa con gli amici o voglio fare un compleanno e non voglio cucinare, non ho la possibilità attualmente di avere un servizio che mi offra a casa un antipasto, un sugo per il primo, un secondo o anche un dolce. Si tratta del futuro della nostra società, perché tutti lavorano, tutti sono impegnati, le mamme non hanno il tempo di fare cose molto elaborate o cose che hanno bisogno di tempi di lievitazione o di marinatura. Non si ha tempo, me ne sono resa conto in primis io, quando avevo i bambini piccoli e molte cose non le potevo fare proprio per mancanza di tempo… Quindi vorremmo offrire questo servizio e, in più, io vorrei fare una cosa che mio figlio dice “tu non la devi dire” [ride], ma che è ancora in itinere e non è una cosa che faremo subito: vorrei proporre workshop, vorrei in qualche modo insegnare alle ragazze la cucina procidana, perché questo, poi, è lo scopo principale. Sì, posso cucinare fare per loro per alleviare nella gestione quotidiana, ma la cosa proprio necessaria è tramandare la cucina procidana alle ragazze. Quindi per me, in futuro, ci saranno dei corsi di cucina, anche con aggeggi moderni – io uso il Bimby tutti i giorni – perché non è che devi per forza fare tutto a mano, perché quello ti evita di stare lì a girare per un’ora. Semmai, mentre fai la crema o mentre fai la besciamella, o qualche altra cosa, ti puoi stendere la biancheria, puoi fare altro. Io molte ricette della nonna – che poi diceva “tanta farina quanta se ne pigghia” le sto adattando al Bimby.
C: [rido] Sì, sì, espressione tipica!
M: Oppure diceva “Jé faccio a uocchio” eh ma io come devo scrivere? Alla fine io, piano piano, ho trasformato queste fantasie in ricette che posso fare col Bimby, come orari, come grammature, come cose che danno più o meno lo stesso risultato, però alleviano il compito.. Poi come ci fai a spiegare a uno “quanta farina se ne pigghia?” E allora sto cercando di fare questo ricettario, pure questa “pasta matta”, quella che si fa con limone e olio, come lo spieghi. Mia mamma “Jé faccio a uocchio, mecc’a farina, po’ quanta se ne pigghia jé tant’uogghio ce metto!” Sto cercando di rielaborare le ricette in chiave moderna per poi tramandare quelle della tradizione che vanno via via scomparendo.
C: È vero, è una missione questa cosa di tramandare quanto più possibile…
M: Infatti e io veramente sono entusiasta, soprattutto perché questo luogo fisso mi permetterà di fare cose che prima non avrei potuto fare solo con il furgone. Ovviamente all’inizio è stata una sfida, che però penso di aver vinto, quindi adesso posso essere in grado di gestire tutto con più serenità… Ecco, la cosa più importante per me adesso è la serenità. Per l’età che ho, per le cose che ho passato e tramandare queste tradizioni è importante.
C: Quindi il furgone ci sta sempre?
M: Sì, sì, soprattutto a Terra Murata, ai cannoni, perché ormai è diventato un’istituzione e quindi io non la voglio perdere questa cosa onestamente. Ti ripeto, Assafà è stato precursore di tante belle attività che si svolgono a Terra Murata e mi sembra pure giusto di ribadirla fortemente questa cosa, anche perché adesso c’è chi parla di noi. Quest’estate noi abbiamo avuto persone con i trolley che arrivavano tutte sudate fino a là sopra dicendo “noi siamo venuti ad assaggiare l’unico ristorante a 5 stelle di Procida”. Penso che ormai Assafà è una realtà assodata.
C: Sì, è una realtà solida, il food truck è una proposta che ricorre spesso pure tra gli amici miei a Procida.
Invece, la prossima domanda è: tu lavori con tuo figlio. Quali sono i pro e i contro di un’attività a conduzione famigliare e cosa, ognuno di voi, da un diverso punto di vista generazionale, apporta ad Assafà?
M: Questa è una domanda che mi sono posta spesso, perché con mio figlio ho anche un rapporto abbastanza burrascoso: ovviamente, io sono per il rispetto della tradizione e lui, invece, ha un occhio per l’innovazione ed è normale per l’età che ha. Lui ha, come dire, tante idee sul futuro: per esempio, per lui, la confezione è priorità, perché dice che attualmente la clientela ha un occhio per la presentazione. Mentre invece io dico, no, deve essere buono quello che ci sta dentro, perché tu puoi fare pure la presentazione più bella del mondo, ma se la cosa che ci sta dentro delude…
Lui dice sì, quello che c’è dentro è fondamentale, ma anche la presentazione ha un suo perché, l’uno e l’altro devono andare di pari passo, quindi mi ha fatto fare anche una spesa abbastanza importante per un packaging personalizzato, che io dicevo “ma non mi sembra la priorità visto che dentro c’è qualcosa di molto buono” e lui “no mamma, anche fotograficamente il prodotto deve essere appetibile” perché oggi, per la pubblicità ha una sua importanza anche la presentazione. In fin dei conti, questa è la cosa: il mio voler mantenere la tradizione ha la sua spinta verso il futuro con tutta una serie di contorni che possono dare quell’”in più” per le nuove generazioni. Penso che il risultato di queste due visioni sarà ottimale.
C: Per finire, una domanda che faccio sempre a tutti quanti: una canzone che associ alla cucina e in particolare ad Assafà, che poi la metto sotto l’intervista…
M: Mi hai spiazzata [ride] sai perché? Perché anche la musica crea un’atmosfera là sopra e molti quest’estate ci dicevano “complimenti per la selezione”. Era un periodo in cui ascoltavo una selezione che si chiama “Feeling good” (Sentirsi bene), ed è proprio questa la cosa più importante: la musica, insieme al cibo, al panorama, ti deve far sentire bene. Quindi, ti ripeto, non ho una canzone in particolare…
C: Una che ti viene in mente, lampo…
M: Una canzone che praticamente dice che quando c’è l’amore si può superare qualsiasi difficoltà e siccome io faccio questo lavoro veramente con tanto amore – ho fatto sacrifici enormi – l’anno scorso non abbiamo trovato persone a lavorare e lavoravamo fino a 20 ore al giorno. Il nostro servizio cominciava alle 5 del pomeriggio fino a mezzanotte a Terra Murata, dopodiché, ci trasferivamo a Piazza Posta fino alle 5 del mattino. Poi tornavo a casa e mentre preparavo la lavastoviglie e mettevo a posto, alle 8h30 andavo a dormire e a mezzogiorno già ero operativa per la sera.
La canzone è “Feeling Good” di Michael Buble.