Non avevo mai sentito parlare di zuccotto fino a quando, parecchi anni fa, non lo nominò e preparò un’amica a Procida e fino a quando, nello stesso contesto, non andai a cercarlo sulla smorfia napoletana, insieme ad altre due amiche, pe’ iucà i nnummer*. Un terno che speravamo secco. Lo zuccotto fatto numero, insieme a un funerale e al lancio di una scarpa in fronte. Non un sogno con un’accozzaglia di fatti da decifrare, ma un fatto di piccola cronaca della nostra adolescenza isolana. Ci giocammo il terno e invece facemmo ambo, già è caccos**. Ch r’e’ stu zuccott, comm e’ fett stu zuccott, u zuccott p’ sott e p’ copp***, comm è gghiut e comm è venut, p’ n’a purtà a luong****, ci recammo for ‘o puzz**** * a giocare i numeri dettati da una smorfia moderna, trasformammo lo spettegoless in aneddoto pi nnummer e la dea bendata decise di premiarci.
Complicità e discrezione velarono il fatto della giocata e l’antefatto e lo zuccotto rimase nella storia.
Non l’avevo mai preparato prima. Non prima di quest’estate, in occasione del compleanno di mia cognata.
Lo zuccotto mi era rimasto sempre impigliato in qualche angolo della memoria. È stato tirato fuori, insieme ai ricordi di mia madre sull’elemento di decorazione e insaporimento della ricetta che propongo: le more di gelso.
Nell’orto a Solchiaro, da una decina d’anni, c’è un alberello di gelso rosso, piantato da mio padre e mia madre. Questa pianta è ancora piccola e dall’anno scorso ha iniziato a dare i primi frutti.
Averla in mezzo all’orto era sempre stato un sogno per mamma. Il gelso rosso è una sua Madeleine di Proust… Quando era piccola, u nonn a Ventotene la portava nel suo orto sovrastante la spiaggia di Parata Grande, oggi non più accessibile. Lì c’era un grandissimo albero che in estate si riempiva di more di gelso. “U nonn m mettev na vesta vecchia longa longa, m pigghiav ‘mbracc e m’assettav ‘ncopp a nu remm ra piant”****** mi ha sempre raccontato passando davanti a quella pianta, che quest’estate a Ventotene abbiamo avuto difficoltà a ritrovare.
“Facc dduie servizie pe’ l’uort. Quann hai fernut i mangià i cevz chiammem e t facc scenner”******* le diceva suo nonno. La bambina di allora poteva farsi scorpacciate di more di gelso senza preoccuparsi di sporcarsi i vestiti grazie alla vesta longa longa. Lei, che aveva indossato a vest ru bambeniell al suo primo arrivo a Ventotene e che poi aveva ricevuto una bella vesticciolla bianc e rosa cucita da una signora della piazza principale dell’isola. “A primma vesticcioll a mammet quann arrivatt a Vientuten cia facett Ronna Rosa… na bella vesticcioll bianc e rosa… Ronna Rosa”********, mi raccontava quest’estate una sua zia di Ventotene. Era invece papà a raccontare a mamma del suo primo arrivo a Procida e dei suoi andirivieni tra Ventotene e Solchiaro. Ed è stato lui, piantando con lei a piant r cenz in mezzo all’orto, ad aiutarla a perpetuare quel ricordo di bambina, della dolcezza del nonno, di rosso sul viso, le mani e della libertà di una vesta da sporcare senza essere sgridati dai grandi.
Il dolce proposto qui di seguito ha gli ingredienti e il colore di tutti questi ricordi sovrapposti… Le more di gelso, la forma di zuccotto e un cuore con crema di mascarpone, perché una scarpa in fronte è meglio farla riaffiorare addolcita sotto forma di mal scarpon, comm u chiammav mia nonna. Sapore di gelso, retrogusto spiritoso di limone e la vesticciolla di Ronna Rosa. Niente numeri da giocare a questo giro, ma un cuore di cioccolato bianco e due candeline per il buon augurio. E poi l’albero sullo sfondo. Un albero con una storia e un cucchiaino per raccoglierne i frutti.
Ingredienti
- Due pacchi di savoiardi, ognuno da 400 g (di sicuro non si useranno tutti)
- Una tazza di tè verde poco infuso (se fatto con le foglioline, meglio)
- Un bicchiere di limoncello
Per la crema all’interno
- 4 tuorli
- 4 bianchi d’uovo
- un pizzico di sale
- 500 grammi di mal scarpon (mascarpone)
- 6 cucchiai rasi di zucchero (meglio se di canna)
- 25 more di gelso
Per il frosting
- 200 g di philadelphia
- 160 g di zucchero a velo
- scorza di limone grattugiata q.b
- 15 more di gelso
- 1 cucchiaino di succo di limone
Procedimento
Sia la crema al mal scarpon che il frosting sono ispirati a ricette di mio fratello (tiramisù per la crema e carrot cake per il frosting).
Preparare il tè e lasciarlo raffreddare. Preparare la crema: montare i bianchi d’uovo a neve, dopo avervi aggiunto un pizzico di sale (pare favorisca la montatura).
Mettere questo composto da parte. In un altro recipiente, sbattere i tuorli con lo zucchero facendo attenzione a non ottenere un miscuglio troppo liquido. Aggiungere il mascarpone e le more di gelso e sbattere ancora un pochino (sempre facendo attenzione a lasciare il composto abbastanza solido). Aggiungere progressivamente, mescolando con un cucchiaio di legno, i bianchi montati a neve. Si otterrà una crema rosa/beige.
A questo punto si può procedere alla preparazione dello zuccotto. Prendere un recipiente che capovolto ha una forma di cupola. Foderarlo con fogli di pellicola.
Preparare il bagno per i savoiardi: in una ciotola mescolare il tè verde col bicchierino di limoncello. Immergere per 1-2 secondi (non di più, veramente ‘na calat e ‘n’ aisata*********) i savoiardi nel bagno di tè verde e il limoncello. Ricoprire il recipiente rivestito di pellicola con un primo strato di biscotti, fare uno strato di crema, poi un altro strato di biscotti. Ricoprire ultimo strato di crema con un ultimo strato di biscotti. Lasciar riposare in frigo almeno 3 ore.
Passate le tre ore, preparare il frosting che andrà a ricoprire il nostro zuccotto. Mescolare in una ciotola il philadelphia, lo zucchero a velo 7 delle 15 more di gelso previste per questa parte della ricetta.
A questo punto, u zuccot rent a suppier s’adda capetià (capovolgere lo zuccotto nel recipiente riversandolo accuratamente su un piatto.)
Preparare il frosting: sbattere la philadelphia aggiungendo gradualmente lo zucchero a velo e 5 more di gelso. Ottenere una cremina rosa, con cui si potrà ricoprire lo zuccotto, decorandolo con le restanti more di gelso. Lo zuccotto********** è pronto per essere servito.
Pe’ iucà i nnummer*: per giocare i numeri.
Già è caccos**: è già qualcosa.
Ch r’e’ stu zuccott, comm e’ fett stu zuccott, u zuccott p’ sott e p’ copp***: Cos’è questo zuccotto, com’è fatto questo zuccotto, “lo zuccotto sotto e lo zuccotto sopra”, nel senso che non si parla d’altro, lo zuccotto domina le conversazioni.
Comm è gghiut e comm è venut, p’ n’a purtà a luong****: è andata com’è andata (letteralmente “come è andata e com’è venuta), per non farla lunga.
For ‘o puzz*****: in piazza della Repubblica, detta anche piazza posta, un tempo luogo di ritrovo serale dei giovani soprattutto d’inverno. È la piazza dove si trova e si trovava la ricevitoria-tabaccheria/edicola per giocare i numeri al lotto. Negli anni 80-90 era possibile giocare i numeri solo lì e non presso le altre tabaccherie dell’isola.
“U nonn m mettev na vesta vecchia longa longa, m pigghiav ‘mbracc e m’assettav ‘ncopp a nu remm ra piant”******: Mio nonno mi faceva indossare un vecchio e lunog vestito, mi prendeva in braccio e mi sedeva su un ramo della pianta.
“Facc dduie servizie pe’ l’uort. Quann hai fernut i mangià i cevz chiammem e t facc scenner”*******: “Sbrigo qualche faccenda nell’orto. Quando hai finito di mangiare i gelsi, chiamami e ti faccio scendere.” Il nonno di mia madre parlava dialetto ventotenese (così come mia nonna), che potremmo quasi definire come un napoletano arcaico. Tra il 1734 al 1777 ebbe luogo il primo popolamento guidato sulle isole di Ponza e Ventotene, favorito anche dai nuclei provenienti dalle città disastrate dall’eruzione del Vesuvio nel 1771. Questo spiega perché Ponza e Ventotene abbiano una base culturale, un dialetto, usi appartenenti per lo più alla Campania e un’onomastica che è prevalentemente ischitana, procidana e torrese.
“A primma vesticcioll a mammet quann arrivatt a Vientuten cia facett Ronna Rosa… na bella vesticcioll bianc e rosa… Ronna Rosa”********: “Il primo vestitino per tua mamma, quando arrivò a Ventotene glielo cucì la Signora Rosa…. un bel vestitino bianco e rosa… La Signora Rosa” (ancora dialetto ventotenese).
‘Na calat e ‘n’ aisata*********: un’immersione velocissima, di pochi secondi.
Lo zuccotto**********: Lo zuccotto è un dolce di origine toscana, inventato da Bernardo Buontalenti in occasione di un banchetto della famiglia Medici. Ci sono diverse versioni sull’origine del nome. Si pensa, infatti, che il primo nome del dolce fosse “Elmo di Caterina”, per onorare la grande regina di Francia di casa Medici che esportò oltralpe molti piatti della cucina toscana. Un’altra versione, forse più attendibile, è che il nome si riferisse, per il rosso Alkermes, usato per bagnare il pan di Spagna, al copricapo degli alti prelati detto appunto zuccotto. Per ulteriori approfondimenti, consultare Tuttatoscana.net. La versione proposta non è tradizionale, è una mia creazione.