Il profumo della pigna sul fuoco la sera, l’odore del muschio raccolto ‘ncopp a r Peragne*, i pasturieddi o le casette comprati da Ida add’Ulm, Seren for o puzz o Jolly Tabacc abbesc a Marin**, la puzza di Das*** quando si provava a farseli a casa da soli: l’atmosfera pre-natalizia anni ‘80 potrei descriverla proprio così. Ma veniamo al sodo del ‘ncopp o magnà del periodo: Il mio entusiasmo nell’allestire il presepe a quei tempi era direttamente proporzionale alla meticolosità con cui mia madre preparava e prepara la sua pizza di scarole, rigorosamente in padella.
All’epoca si abitava in un condominio a Via Curato****. L’angolo per il presepe in realtà era tutta una parete dell’entrata, subito a sinistra, quando si apriva la porta. Su di essa c’era adagiata una pagliarella***** che i miei non sapevano dove mettere e per il presepe mi andava di lusso, perché faceva una specie di ‘mbarrastec****** naturale, là sopra le montagne di cortecce e carta marrone. La pagliarella era pure il limite da dove partiva il cielo stellato, quello blu con le stelline disegnate e faceva pure da punto d’incastro pe’ r spinedd r spallec******* da cui poi dovevano scendere gli angeli. Mia madre mi aiutava a preparare la base, poi io addobbavo, abbellivo, mentre lei in cucina preparava la pizza di scarole. Quando papà non era imbarcato, aiutava mia madre con la pizza: schiacciava noci, snocciolava e tagliava olive r copp Viver********, lavava alici salate se riusciva a convincerla a farle invitare nel ripieno, assaggiava. Anche mio fratello era più in zona-pizza che in zona-presepe e arrivava da me solo una volta terminata l’opera ad aggiungere un puffo qua, un soldatino là, una Poochie********* (da noi ribattezzata Badalascia) al centro della scena.
La cosa era per me molto provocatoria, perché a quei tempi avevo un’idea completamente ortodossa del presepe. Al mio “venite a vedere, ho finito!” tutti accorrevano nell’entrata, anche la vicina del piano di sopra avvisata col linguaggio in codice concordato del colpo di sedia sul pavimento della cucina. Tutti pronunciavano unanimi ed estasiati “comm è bell!”, mentre in cucina l’odore della pizza di scarole in padella provava a sostituire quello più forte di resina della pigna sul fuoco di qualche ora prima.
Associo altri odori ai ricordi di quei tempi: il vino servito da mio padre agli zampognari che venivano a fare a nuven ra’ Mmaculat e a nuven ru Bambiniedd********** e l’aglio di una messa di mezzanotte nella chiesa della Chiaiolella. Ma come l’aglio a messa? In chiesa il profumo dominante non è l’incenso? Negli anni ‘80 e ‘90, soprattutto quando mio padre era imbarcato, per non stare da soli, io mia mamma e mio fratello andavamo a cena dai miei zii per la vigilia e a pranzo a Natale o in zona Centane o a Solchiaro. Mia madre portava la pizza di scarole, da me snobbata quand’ero piccola e rivalutata negli ultimi anni. All’epoca preferivo dei fagottini, sempre di scarola, preparati da una sorella di mia zia che io trovavo decisamente più bambino-friendly rispetto alla versione classica di mia mamma. Si facevano tavolate di 20 persone, si giocava a tombola e a mezzanotte si andava a messa alla Chiaiolella. Ricordo sempre, a fine messa, il prete che girava per la chiesa col Bambinello in un cestino, per farlo baciare dai fedeli. R vecchie nun ‘s ne jeven mai ra rent a ghies senza vasà u Bambiniedd***********. La sera dell’aglio, mia zia e mia mamma erano sedute davanti a un uomo che evidentemente aveva fatto abuso dell’aromatico bulbo usato per condire una pizza di scarole o una ‘nzalatedd r pulepetiedd***********: improvvise ventate di aglio precedute o meno da eruttazioni che l’uomo si sforzava di mantenere discrete venivano a turbare l’atmosfera solenne della veglia prima della messa, dei canti, delle preghiere e pure dell’omelia. Io ero lontana dalla zona-aglio e non capivo, ma vedevo mia madre e mia zia fare sforzi sovrumani per non ridere. Solo a fine messa venimmo a conoscenza della ragione di tutte quelle risate soffocate ed esplose sulla strada di casa “c guaion, chidd’omm arret a nuje ruttiav d’egghie”************* raccontava mia zia “figghie r mamm c brutta cos!”************** commentava mia madre . Ovviamente, papà, quando venne a conoscenza dell’aneddoto, ricostruì immediatamente l’identità del signore incriminato e tutto il suo albero genealogico.
Mia mamma la sua pizza la fa senz’aglio, soprattutto per migliorarne la digeribilità. Chi la mangia, quindi, può andare a messa in tutta tranquillità. A differenza di molte ricette procidane, quella del suo impasto è senza limone, perché noi in casa lo abbiamo sempre preferito così. Una cosa però rende particolare la pizza di mia madre: il curniedd crudo*************** come cuore del ripieno.
Si evolve, per fare mia una frase di De Andrè “sono la minoranza di me stessa”: negli anni ho imparato ad apprezzare questa pizza di scarole, ora la mia preferita. Anche l’idea di presepe è cambiata nel tempo per me e oggi la mia natività è un archetipo molto meno ortodosso.
Ingredienti
Per l’impasto
- 300 g di farina
- 200 g di acqua tiepida
- un cucchiaino raso di lievito secco o mezzo cubetto di lievito fresco
- Un abbondante pizzico di sale
Per il ripieno
- 1 scarola di media grandezza
- Olive nere snocciolate, pinoli, noce sgusciata a piacere (a seconda dei gusti)
- Uva passa se gradita, sempre a piacere
- Olio EVO (3-4 cucchiai per soffriggere scarola), un fondo di padella per cuocere la pizza.
Procedimento
Per la pasta della pizza, fare una montagnella di farina e al centro aggiungere gradualmente l’acqua tiepida nella quale è stato sciolto il lievito, aggiungere anche il pizzico di sale. Impastare per bene fino a ottenere un impasto morbido ma compatto.
Lasciar riposare l’impasto per 4-5 ore in un luogo caldo e asciutto, in un recipiente ricoperto con uno straccio.
Lavare la scarola e strizzarla per bene. Togliere il cuore, tagliarlo grossolanamente e metterlo da parte in una scolapasta adagiata sopra a un recipiente. Aggiungervi sopra un po’ di sale in modo da fargli cacciare tutta l’acqua residua. Far bollire il resto della scarola per 7-8 minuti. Farla raffreddare e strizzarla. A questo punto, “a scarol s’adda affugà”, ovvero si deve ripassare in padella con un po’ d’olio EVO pe 7-8 minuti. Strizzare ‘u curniedd’ e metterlo insieme alla scarola ‘affugat’. Mescolare il tutto.
Fare 2 pettole: prendere l’impasto della pizza e farne due palline (una un po’ più grande dell’altra), che saranno trasformate in pettole. Cospargere il piano di lavoro con un po’ di farina per stendere le pettole con un matterello.
Una volta ottenuto un primo disco un po’ più largo del diametro della padella su cui sarà stato distribuito un po’ d’olio (vedere immagine), adagiare la pettola sulla superficie della padella e distribuire uniformemente il misto “scarola affugat-curniedd crudo” e cospargerlo di olive nere, noci a pezzettini, pinoli, uva passa.
Stendere la pettola numero due e ricoprire il ripieno. Usare la pettola di sotto per chiudere il ripieno (guardare immagine).
A questo punto, mettere la pizza sul fuoco, a fiamma bassa e far cuocere lentamente sul primo lato. Dopo una decina di minuti guardare se il primo lato è cotto. Rigirare con un coperchio e far cuocere con lo stesso procedimento il secondo lato. La pizza deve essere ben dorata su ambo i lati. L’odore può essere un ottimo indicatore per capire se la pizza è cotta al punto giusto: è un odore di pane abbrustolito ma non bruciato. Disporre la pizza su un piatto grande e lasciarla raffreddare prima di tagliarla.
‘Ncopp a r Peragne*: “Sulle Peragne”, è una zona di Solchiaro adesso proprietà privata, dove prima varie persone avevano un pezzo affittato per eventuale coltivazione e non c’erano barriere per accesso dall’esterno. Si andava lì per trovare asparagi selvatici oppure per raccogliere elementi vegetali per il presepe (muschio, cortecce, ramoscelli vari).
Ida add’Ulm, Seren for o puzz o Jolly Tabacc abbesc a Marin**: “Ida a Piazza Olmo”, “Serena a Piazza Posta”, “Jolly Tabacchi” (che esiste tutt’ora) al Porto della Marina Grande. Sono tutte mercerie di Procida, dove era possibile acquistare i pastori e alcuni accessori per il Presepe.
Das***: marca di una pasta per modellare.
Via Curato****: Via Curato, ufficialmente nota come “Via Nicola Lubrano di Vavaria”.
Pagliarella*****: cannuccio
‘mbarrastec******: Barriera protettiva degli orti, normalmente fatta di canne.
R spinedd r spallec*******: Le piccole spine degli asparagi selvatici, ramoscelli verdi.
R copp Viver********: di Vivara. Negli anni ’80 (e anche prima) si andavano a raccogliere olive sull’isolotto di Vivara.
Poochie*********: Si trattava di una cagnolina bianca con i capelli e le codine fucsia.
Nuven ra’ Mmaculat e a nuven ru Bambiniedd**********: La novena per l’Immacolata (prima dell’8 dicembre) e la novena per Gesù Bambino (prima del 24 dicembre).
R vecchie nun ‘s ne jeven mai ra rent a ghies senza vasà u Bambiniedd***********: Le signore anziane non se ne andavano mai dalla chiesa senza baciare il Bambinello.
‘Nzalatedd r pulepetiedd************: Un’inzalatina di polipetti.
“C guaion, chidd’omm arret a nuje ruttiav d’egghie”************* : Che guaio, quell’uomo dietro di noi faceva rutti all’aglio.
“Figghie r mamm c brutta cos!”**************: “Figghie r mamm” letteralmente “figlio di mamma”, è un’esclamazione di meraviglia/spavento. “C brutta cos”: che brutta cosa.
Curniedd crudo***************: il cuore della scarola crudo.