Natale, capodanno, epifania sono anche sinonimo di grandi riunioni in famiglia e tra amici – che oggi chiameremmo assembramenti – per giocare a tombola. Ogni famiglia, ogni gruppo, ha un suo linguaggio in codice associato a questo gioco antico e poetico, colorito dai numeri della Smorfia napoletana, ma anche da modi di dire che si creano spontaneamente e si perpetuano di anno in anno.
“Amma fa nu tocc?”, ricev a nonn, “Amma fa nu cuorp a tombol?” diceva mia madre ai tempi della nonna, prova a dire ancora, per scuotere il torpore digestivo dei tardi pomeriggi delle feste di Natale.
Quando la boss era ancora viva, tiemp bell e ‘na vot*, ci si riuniva, tra figli e nipoti a giocare a tombola guardando sempre lei, scandendo bene i numeri, perché a nonn non sentiva e non si sapeva se avesse azionato u valvolator** o no prima di iniziare a giocare. Quindi il “si ia chiammà i nnummer mittet di front a nonn”*** era una raccomandazione da tenere in conto se si decideva di essere la voce della giocata.
Chi chiamava col panariello nun dev sul i nnummer****, ma era anche voce narrante che narrava i fatti di quelli che uscivano da dentro al tumbulicchio*****. Eh sì, perché da dentro al tumbulicchio potevano uscire u puorco, a criatur, a femme annur, Santa Lucia corrente che correva, correva perché correva? U totan ‘nta chitarr, a funa ‘ngann, u mbriec e compagnia cantante, musica musicanti******. E poi un bel pomeriggio capitò pure che da dentro al panaro uscì ‘na mmott i fav*******, “C gghiè ‘sta mmott i fav?”******** esclamò la nonna spazientita…. Una bella novità o forse solo mio zio che si era divertito a leggere il 45 in inglese ‘nfacc a nonn “fortifaiv”*********. “Nun agg fatt mang nu lamp” sentenziava a nonn amareggiata a fine giro se non era riuscita a concretizzare neanche un ambo. Poi capitava che in alcuni Natali, alle giocate si aggregavano anche il fratello di mia nonna di Ventotene e sua moglie romana de Roma che, per auspicare una migliore uscita di numeri e riempire meglio le sue cartelle, esortava la voce narrante di turno con un altisonante “smucina un po’ ste palle!” “Uno e me ne vo’!’”, invece, non era l’annuncio di un viaggio per mete esotiche, ma l’esclamazione di chi avvisava per una tombola imminente, di colui o colei che aspettava l’ultimo numero mancante per aggiudicarsi il malloppo del più ghiotto montepremi. Tra una giocata e l’altra, non mancavano roccocò, mustacciuoli e struffoli, per non parlare dei mandarini, di cui si usavano le bucce per coprire i numeri. Associo ancora oggi la tombola all’odore di mandarino sulle mani.
Mia madre portava spesso gli struffoli alle tombolate. S’avevna mangià, ma senza distrarsi, perché si potevano pure invocare benedizioni delle cartelle da parte di preti dell’immaginario collettivo procidano tramite una bella scritta con la bic blu a incorniciare i numeri da coprire, ma se non si guardava a cartedd, non c’erano santi che potessero intercedere per le vincite.
Quei pomeriggi con le tombolate volavano e sono volati via molti dei loro partecipanti. Restano però i loro modi di dire, le loro battute, i loro accenti. E resta ora la ricetta degli struffoli, in attesa di poter fare nuove riunioni e tramandare il linguaggio tombolistico alle nuove generazioni.
Per gli struffoli, mia madre da anni fa la stessa ricetta, presa da un libro antico di cucina napoletana chiamato “A Napoli si mangia così”. È più che collaudata e la riporto fedelmente qui di seguito.
Ingredienti
- 450 g di farina 00
- 3 uova intere
- 90 g di burro
- 3 cucchiaini di zucchero bianco
- 30 ml di rum bianco, maraschino o limoncello
- La buccia di un limone grattugiata
- Un pizzico di sale
- Mezzo cucchiaino di Pane degli Angeli
- 300 ml di miele di acacia
- Frutta candita a pezzetti e confettini a piacere
- Olio di semi di girasole in abbondanza per la frittura
Procedimento
Il una ciotola impastare innanzitutto le uova e lo zucchero, aggiungere gradualmente la farina e il burro e continuare a impastare con le mani. Aggiungere poi il Pane degli Angeli e la buccia di limone grattugiata, il liquore scelto. Impastare fino a ottenere una pasta morbida e compatta.
A questo punto, avvolgere l’impasto nella pellicola e lasciarlo riposare in frigo o in un posto freddo per un’ora.
Passata l’ora, aprire la pellicola, prelevare l’impasto, fare tanti pezzi lungiformi, tagliarli a pezzetti e fare delle piccole palline.
In una pentola larga e alta, far scaldare l’olio per friggere le palline. Immergerle nell’olio caldo gradualmente, per evitare che si produca schiuma, farle dorare e prelevarle con una votapesc (schiumarola).
Metterle ad asciugare su carta assorbente. Una volta terminata la frittura delle palline, preparare il bagno di miele. In una pentola, mettere il miele, un cucchiaio di zucchero, e due cucchiai d’acqua. Mettere su fiamma bassa.
Quando il miele diventa ambrato, immergervi gli struffoli, girandoli un paio di volte e aggiungere i canditi e i confettini. Disporre gli struffoli ‘ngopp a na bella uantier e completare la decorazione a piacimento.
Lasciar raffreddarre posizionandoli ‘ngopp o tavulin vicin o presepio, o ngopp a cristallier in bella mostra. Al limite, se non c’è spazio sui mobili citati, lasciarli, sempre a para vista, ‘ngopp ‘o bibigas.
tiemp bell e ‘na vot*: bei tempi di una volta che sono andati. La “boss” era come veniva chiamata affettuosamente mia nonna materna.
u valvolator**: era il nome che mia nonna dava all’apparecchio per l’udito.
“si ia chiammà i nnummer mittet di front a nonn”***: se devi chiamare i numeri ti devi mettere di fronte alla nonna.
nun dev sul i nnummer****: “non dava solo i numeri, nel senso che non chiamava solo i numeri col cestino. In napoletano e procidano “dare i numeri” è anche “dare di matto”.
tumbulicchio*****: cestino in vimini per i numeri della tombola.
u puorco, a criatur, a femmen annur, Santa Lucia corrente che correva, correva perché correva? U totan ‘nta chitarr, a funa ‘ngann, u mbriec e compagnia cantante, musica musicanti******: si tratta di una serie di figure associate ai numeri secondo la Smorfia: 4, il maiale, 21, la donna nuda, 13 Santa Lucia, 67, il totano nella chitarra, 39, la fune in gola (l’impiccato), 14, l’ubriaco, 55, la musica.
‘na mmott i fav*******: un pugno di fave.
“C gghiè ‘sta mmott i fav?”********: Cos’è questo “pugno di fave”, a cosa corrisponde? La nonna parlava il dialetto di Ventotene.
“fortifaiv”*********: trascrizione fonetica di forty-five.