Ho una certa familiarità con Ischia. Ci andavo al liceo tutti i giorni. Ma allora le pareti delle aule della scuola per me erano strette, come ti stanno strette e ti soffocano quelle adolescenze di conti che non ti tornano e di gioie impigliate negli ammassi più ingarbugliati delle reti dei pescatori. Le ore non passavano mai, tranne quella di inglese, dove spesso mi esercitavo a farmi venire a prendere da un’astronave coi marziani in quella lingua sconosciuta. Intanto fuori tutti gridavano.
Un paio di anni fa, sempre a Ischia, mi ritrovai in commissariato per rinnovare il passaporto: l’urgenza di fughe scritte coi marziani è stata sostituita col tempo dalla necessità di evasioni reali, verso posti dove si parla anche l’inglese e speriamo si torni presto a viaggiare col cuore leggero.
Mentre riempivo il modulo per la pratica, a un’altra scrivania dell’ufficio ricevettero una signora bassina spigliata, che si muoveva con agio estremo tra le mura e le scartoffie polverose di quel posto per me così inusuale. Salutava i poliziotti, si fermava a chiacchierare con questo e quell’altro. Poi, la signora che sbrigava le pratiche sulla scrivania a cui la donna si era rivolta, le disse a voce alta “Brigggida, quann’ia sparà?”* E lei pronunciò un elenco di date e posti dove doveva “sparare”. Non era una terrorista autorizzata dal commissariato di polizia la signora Brigida. Era (e spero lo sia ancora) l’anima delle feste di paese con fuochi pirotecnici e botta finale di tutta l’isola d’Ischia. Lo capii dalla conversazione e mi venne confermato anche da un’amica di Forio… La signora Brigida pare sia conosciuta proprio su tutto il territorio isolano. La sua irruzione in commissariato e la conversazione che ne seguì sui dove e i quando degli spari mi fecero sorridere molto e trovai carino sapere che anche dietro ai fuochi d’artificio ci può essere lo zampino di qualcuno.
Le vendemmie r na vont e la Madonna dello Schiappone, poi
Ci sono feste rumorose, conosciute, sfarzose, spesso anche un po’ pacchiane. Attirano folle, richiamano musicanti, venditori delle bancarelle, gestori di giostre. Poi ce ne sono altre discrete, svolte ‘ncopp a nu pizz ‘r muntagn…** Uno ci va perché lo sa che esistono. Qualcuno gliele ha raccontate. Le feste che sanno di antico da queste parti sono principalmente di matrice religiosa, ma hanno anche il sapore di ritualità popolare e non di rado sono avvolte da una spiritualità tutta contadina. Scandiscono il passare delle stagioni, delle semine e dei raccolti.
Un tempo molto lontano, c’era d’uva ra cogghie*** e la vendemmia da fare a settembre. Era il tempo del c’era una volta una famiglia di nonna, zia Sceriffo, papà, suo fratello, con mogli e bambini a seguito e, in più, qualche altro zio, fratello della nonna. Si partiva. Si andava a Ischia a fare la vendemmia.
C’era un casolare antico a Barano, lasciato dal nonno, di cui ricordo solo il soffitto molto lontano sulle nostre teste e il focolare antico. Noi bambine e un bambino portavamo sempre la macchinetta piccola del caffè, quella verde. Era di plastica, ci seguiva insieme ad altre stoviglie giocattolo…. All’epoca giocavamo alla cucenella mentre i grandi fuori facevano la vendemmia. Erano tracce del nonno… la casa, il rito della vendemmia, il terreno. Non se lo potevano ricordare il nonno, né papà né suo fratello… C’era una porta grande da dove si vedeva un mare verde di foglie di viti e all’esterno c’erano i fussete ca erano aienti**** e io non li riuscivo a saltare. Un giorno il casolare col pezzo di terreno con le viti fu venduto e non ci furono più spedizioni di vendemmie dei grandi e cucenelle di bambini. Calò il sipario su quel microcosmo contadino e le sue giornate di raccolta d’uva in festa, con Procida-Ischia andata e ritorno. Sparì quel legame di andirivieni con la terra del nonno, e ora una traccia del padre di papà ce la portiamo esplicita essenzialmente nel cognome – mio fratello e una nostra cugina anche nel nome. Ovunque.
Passarono gli anni, fino a quando “A settembre amma i’ ‘ncopp ‘o Schiappone”***** non diventò rituale e impegno detto-fatto di mio padre. Non cominciava autunno per lui senza la messa dello Schiappone. Ci andava sempre, da una decina d’anni con mia madre e na vont s purtatteno pure a duie francisi venuti in vacanza a Procida. Ci andava anche con sua mamma da piccolo.
Per rivivere questa sua tradizione, qualche giorno fa ci sono andata per la prima volta anch’io, con mia madre.
‘Ncopp o Schiappon si festeggia la natività della Madonna. Si prende un autobus di linea a Ischia porto (il 5, il 6, il CS o il CD). Si scende dal pullman dopo i Pilastri e si parte dalla frazione del Vatoliere, a Barano, dove ci sta una navetta. Si po’ un vere c’a navetta sta triganno******, si può incamminare verso il santuario dedicato a Maria S.S. di Montevergine dello Schiappone. A verità propria, per voto si dovrebbe andare a piedi. “Na vonta purtavan’u vescovo ‘ncopp ‘o ciuccio”******* ci raccontava mio padre.
Tiempi bell’e na vot, a navett n’a trighet******** e siamo potute salire ‘ncarrozza********* fino allo spiazzale davanti al santuario.
La chiesa è stata costruita presso la Molara, località cava Nocelle, alle pendici del Monte Vezzi nel 1665, per iniziativa dei fratelli Rossi, con lo scopo di creare un luogo di eremitaggio. Fiumane di pellegrini provenienti da tutta l’isola (e un po’ anche da Procida) si recano a piedi sulla collina ogni 8 settembre per venerare Maria soprattutto dal 1953, da quando il santuario ha assunto il titolo di Santa Maria di Montevergine.**********
Quando si arriva ‘ncopp o Schiappon si vede subito la chiesetta, arroccata su una specie di terrazzo accessibile con una scala sulla destra. Nello spiazzo prima delle scale ci sono le sedie e un palco, con una croce e un altare sopra, per la messa detta prima della processione del pomeriggio. Poi c’è una bancarella cu ‘re pstacchie o quaquette, comme re chiamman’i iscaiuoli*********** e un venditore di cestini di Campagnano fatti a mano.
La mattina dell’8 settembre la chiesetta dello Schiappone si trasforma in un messificio… c’è una messa all’ora. Prima di entrare in chiesa, lo sguardo viene attirato da una tavola sul lato destro e un’altra a sinistra. Su una ci stanno cose coperte. Sull’altra, i thermos con tè e caffè, un pacco di bottiglie d’acqua e qualche bricco grande col succo di frutta. Si entra in chiesa per la messa. Si sentono canti a più voci di giovani accompagnati da una chitarra. Ma chi canta non si vede. I suoni provengono dall’alto.
Durante la messa a cui abbiamo assistito, sono stata colpita da una statua sulla destra e l’ho commentata com mia madre “Guarda comm’è bbello, a Natal sep comm fann bello cu stu bambinieddo”************. Alla fine della cerimonia, però, dall’alto è scesa una musica che diceva “comm ‘e bbella ‘sta nennella”************* e il parroco e i fedeli si sono girati verso “u bambinieddo”.
Abbiamo scoperto, così, che u bambiniedd in realtà era Maria bambina. Mia madre, in tanti anni di Schiappone, non se n’era mai accorta, anche perché la canzone della Nennella non era mai riuscita a beccarla.
I dolci preparati dalle signore
Finita la messa si sono scummigliati i mesali ‘ncopp************** a quella tavola misteriosa e le signore erano fiere di tagliare fette di dolci. Un’offerta a piacere, gel idroalcolico alla mano, mascherina tolta momentaneamente, si è potuto assaggiare un pezzo di crostata, di sbriciolata o di ‘mpast e ‘nforn.
Mentre ci allontanavamo dalla chiesa e dai dolci, le signore, che avevano sbaraccato provvisoriamente tavoli, sedie, torte, crostate, panettoni e beveraggi ci precedevano con passo lesto. “Vai a cas e miett nu caurar’i acqua ‘ncopp u fuoco, ce facimm nu bellu spaghetto comm’u vulite vuje”*************** era l’ordine di una signora impartito alla giovane figlia in risposta a un suo “e mo’ c’amma cucenà?”****************.
La pizza, il castello e i gioielli
Noi, invece dello spaghetto, una volta scese dalla collina, abbiamo pranzato con un’ottima pizza da Raffaele a via Roma. È il posto dove mia mamma andava sempre con papà e dove purtatteno pur’e francisi*****************.
È un ristorante pizzeria e fuori ha anche la tavola calda. Colpiscono le brocche colorate a forma di galletto su ogni tavolo e la gentilezza del personale.
Se si cammina dalla pizzeria Raffaele verso Ischia ponte si può arrivare fino al castello aragonese, da dove sparano i fuochi a Sant’Anna e quando sparano io ora penso sempre che dietro ci stanno le autorizzazioni chieste da Brigida.
Il castello aragonese, poi, lo si può trovare tutto d’argento tra i gioielli di Lunaria. Le soste tra i bracciali, le collane, i ventagli di Lunaria, i racconti di Kira e Billy, una macchina vintage da riconoscere e le chiacchierate a battesimi e matrimoni tra Procida e Varsavia sono la scia dell’astronave dell’ora d’inglese.
Intanto si fa l’ora del traghetto, chissà se alla processione del pomeriggio Brigida andrà a sparare ‘ncopp o Schiappon. Non sappiamo se la festa rimarrà tanto discreta da non avere neanche ‘na botta sparata quanno se fa a benerizione******************.
A breve, un’altra festa, su un’altra isola dell’arcipelago genealogico.
“Brigggida, quann’ia sparà?”*: “Brigida, quando devi sparare”. Pare che la signora Brigida gestisca Ischia Pirica, azienda a conduzione familiare di fuochi d’artificio per eventi a carattere religioso e non.
‘Ncopp’a nu pizzo ‘re muntagna…**: sul cucuzzolo di una montagna.
D’uva ra cogghie***: l’uva da raccogliere.
fussete ca eran’aienti****: i terrazzamenti erano alti.
“A settembre amma i’ ‘ncopp ‘o Schiappone”*****: a settembre dobbiamo andare sullo Schiappone.
si po’ un vere c’a navett sta triganno******: se poi uno vede che la navetta si sta attardando. “Trigare” è un termine antico, che sentivo usare molto dalla famiglia di mio padre di Solchiaro, soprattutto dai più anziani. Anche mio padre lo usava e ultimamente mi è capitato di riascoltarlo chiacchierando con una signora ultraottantenne che abitava a Solchiaro. Si potrebbe associare al napoletano ‘intalliarsi’.
“Na vonta purtavan’u vescovo ‘ncopp ‘o ciuccio”*******: Un tempo, trasportavano il vescovo con l’asino.
Tiempi bell’e na vot, a navett n’a trigheto********: Bei tempi andati, la navetta non si è attardata.
‘Ncarrozz*********: letteralmente, “in carrozza”, ma in questo caso l’ho usato per dire che abbiamo potuto fare la salita con un mezzo di trasporto (la navetta). ‘Ncarrozz mi fa venire in mente l’espressione napoletana che mio padre usava spesso “A Pulecenell o vern sul quann va ‘ncarrozz’: ‘Pulcinella viene notato solo quando va in carrozza’ le persone agiate o che hanno raggiunto un importante obiettivo sono invidiate, ma quando lavorano sodo per potersi permettere gli agi o raggiungere risultati, nessuno le nota.
**********: per ulteriori approfondimenti sul santuario della Madonna dello Schiappone, consiglio la lettura dell’articolo a esso dedicato da Isoladischia.com.
‘er pstacchie o quaquette, comme re chiammano i iscaiuoli***********: Pstacchie è come chiamiamo a Procida gli arachidi. Gli ischitani, invece, per definirli usano il simpatico termine “quaquette”, non lontano dal francese “cacahuetes”.
“Guarda comm’è bbello, a Natal sep comme fanno belol cu stu bambinieddo”************: Guarda com’è bello, a Natale immagina come dev’essere bello con questo bambinello.
“comm ‘e bbela sta nennell”*************: “com’è bella questa bambina”, è parte del ritornello di “Ogg’ è nata na Nennella“. Ne riporto il testo, trovato dopo varie ricerche.
Ogg’ è nata na Nennella – Canzoncina di S. Alfonso
(in uso a Torre del Greco – NA)
dalla tradizione popolare di Torre del Geco
attribuita a S. Alfonso Maria de Liguori
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Ogg’ è nata na Nennella,
ch’è cchiù bella de lo sole,
che la veda chi si vole
veramente consolà.
Quant’è bella sta Nennella,
fa li sante nnamorà.
O Maria, dolcezza mia,
io te voglio sempe amà.
Quale nomme `a sta Nennella
Ave mise poi la Mamma!
Vuoi sapè, MARIA si chiama,
meglio nomme no nce stà.
Che bell’uocchie tene `nfronte
Comm’a stelle so lucente,
si te smiccia, tu te siente
sin’ all’ anima pircià.
Che vucchella saporita,
si l’arape, e fa nu riso,
tu te siente mparaviso,
siente l’anima squaglià.
Chesta Nenna ha da portare
a lu munno il Salvatore,
chesta Nenna a u peccatore
lu perdono ha da purtà.
Chesta Nenna ha da brillare
comme stella matutina,
de li Sante la Regina,
e degli Angeli sarà.
Chi vo grazie da lo cielo,
chesta Nenna ha da pregare,
chi vo l’anima salvare
chella mana ha da vasà.
Può essere ascoltata qui a partire dal minuto 3:27 (dopo “Quann nascett Ninno”)
Protagonista del canto è la Madonna bambina, ritratta con immagini delicate e poetiche. Modo originale e confidenziale di descrivere Maria, in una forma quasi dialogata fra cantore e ascoltatore che verrà trasferito in tante canzoni popolari napoletane di contenuto amoroso. Il brano è stato interpretato con grande sensibiltà e teatralità anche da Peppe Servillo in varie edizioni della Chiarastella di Ambrogio Sparagna.
scummigliati i mesali ‘ncopp**************: scoperte le tovaglie sopra.
“Vai a cas e miett nu caurar i acqua ‘ncopp u fuoc, c facimm nu bellu spaghett comm u vulit vuje”***************: Vai a casa e metti un pentolone d’acqua sul fuoco, ci prepariamo un bel piatto di spaghetti come lo volete voi.
“E mo’ c’amma cucenà?”****************: e ora cosa dobbiamo cucinare?
Purtattn pur e francis*****************: Portarono anche i francesi.
‘Na botta sparata quanno se fa a benerizione******************: Un botto sparato quando si fa la benedizione.