Guardare se c’è un ponte tra ottobre e novembre per sperare di allungare almeno un week-end, stenderlo come si stende una pellicola dove mi piace immaginare che sopra ci stanno tutte le scene di uno, più film o come si stende la sfoglia per fare i cannelloni bianchi abruzzesi assaggiati alla piscina di Audun-le-Tiche, che io pensavo fosse sempre Villerupt… La città piccola, le cicatrici siderurgiche, il festival e il gruppo di amici che l’ha inventato: la poesia del Festival du film Italien de Villerupt, che esiste dal ‘76, è difficile da spiegare… È fatta di volti di attrici e attori d’Italia affissi sui pali della luce e bagnati dalla pioggia o tutti insieme in vista sulle scale del comune, di luci bianche, rosse e verdi che ti dicono “benvenut@”, di autunno spesso grigio e piovoso, di foglie gialle sul ciglio della strada che ti porta fino al Grand Est francese, al confine col Lussemburgo.
E dal Lussemburgo io, un modo per arrivare a vedere qualche film del festival, lo trovo sempre, l’ho sempre trovato, ormai dal 2008, a tutte le edizioni tranne due, una che non ricordo più perché e l’altra per la pandemia. Per me Villerupt è posto dell’anima, meta di pellegrinaggio.
Il festival di quest’anno è ancora in corso e sono riuscita ad andarci il primo week-end allungato su tutti i santi, usando il lunedì per tornare, arrivando da Lille a Lussemburgo città e poi, il sabato, da Lussemburgo città a Villerupt e la domenica da Lussemburgo a Esch sur Alzette (che sta ancora in Lussemburgo). Questi due posti, più Audun-le-Tiche, sono quelli dei film che scelgo di vedere per compatibilità di orari e trasporti, perché i trasporti quelli sono, non ci stanno santi, ma va pure detto che sono tutti gratis e strafunzionano… E meno male che da Esch, con un treno o un autobus, ci puoi tornare fino alle 3 di notte.
Quest’anno, soprattutto di sabato, oltre ai film da guardare senza aver letto previamente il programma, avevo sonno da recuperare e un libro nello zaino da fare approdare tra le mani e gli occhi di una libraia di cui conoscevo solo la gentilezza e il nome.
Il sonno ha intralciato leggermente la visione di “Californie”, quello che poi si è rivelato film preferito della mia personale due-giorni, tanto da farmi venire voglia di rivederlo il giorno dopo, a testa riposata. Il secondo film visto sabato è stato “Lacci”, incoraggiata dal sonno – incompatibile con l’altra e potenzialmente polpettonistica scelta de “Il cattivo poeta” – e dalle impressioni positive della libraia, che sono ripassata a salutare al suo stand prima e dopo il film, sul romanzo da cui è tratto. Non male e mi sono portata dalla sala dell’Hotel de Ville la curiosità di leggere anch’io il romanzo, per vedere pure chi è la voce narrante, visto che il film mi è parso più che altro corale e nel coro ci metterei pure il gatto Labès.
Immancabile, sabato sera, con l’occhio fisso sull’orologio del cellulare per non perdermi il 321 di ritorno per Lussemburgo città, la cena alla piscina di Audun-le-Tiche, raggiungibile in 7-8 minuti di cammino dall’Hotel de Ville di Villerupt.
Dall’atmosfera sobria, rispetto agli altri anni e almeno la sera della mia visita, per l’assenza di musica e degli amatissimi cannelloni bianchi abruzzesi e per l’unico primo di pappardelle al ragù (comunque al dente e saporite, anche se il ragù non era in senso napoletano) e per la poca gente. Lo spirito di “amma cucenà p’u festival” si respira comunque e forse la piscina avrà – spero – ingranato nei giorni a venire, quelli dopo il mio passaggio.
Quest’anno c’erano come al solito la porchetta su un’Ape, il buffet di salumi tipo mortadella, salame milanese, prosciutto crudo, pomodori secchi e verdurine varie.
Per il dessert, c’era un’unica scelta questa volta, tra 3 o 4 torte confezionate e, vicino al tavolo dei dolci, un simpatico signore bulgaro a commentare la sua prima esperienza da volontario al festival. Oltre ai cannelloni, altra grande assente, la polenta da accompagnare con pezzi di salsiccia col sugo, spesso presente nelle edizioni passate. Non c’erano neanche le signore a cui avevo domandato alla prima vista dei cannelloni bianchi “ça c’est quoi?*”
L’assenza di musica, la sera di questa visita alla piscina, è stata strana.. Ricordo anni passati con “L’italiano” di Toto Cutugno o “Il ragazzo della Via Gluck” di Celentano. Non ho fatto caso neanche alla musica (non so se era assente come alla piscina) all’Hotel de Ville, dove in anni passati mi era rimasta nella testa un’assordante e per me petulante “A novembre”, di Giusy Ferreri, cosa che raccontavo a un’amica a Procida quest’estate, quando la cantante è venuta a fare un concerto lì per la Sagra del Mare.
La musica invece c’era, eccome, prima dei tre film visti alla Kulturfabrik a Esch sur Alzette la domenica. Mentre aspettavo le proiezioni di “Il legionario”, “Californie” (visione numero due) e “Cambio tutto” (con Libero De Rienzo) nella sala risuonavano, per tutte e tre le volte, Vasco Brondi, con “Quando tornerai dall’estero” e gli Zen Circus, con una canzone che non sono riuscita a identificare. Non so se queste belle scelte musicali vadano attribuite al bigliettaio con cui ho scambiato impressioni sul festival di quest’anno e di quelli passati, fatto sta che soprattutto Vasco Brondi ha creato un ponte con l’Italia della musica che c’è nelle mie cuffie. Le sue “Chakra“, versione live con pianoforte e “Mistica”, nonché tutta la malinconia di “Le luci della centrale elettrica” per intero sono state una vera e propria ancora di salvezza in periodi di lockdown e continuano a esserlo sui mezzi di trasporto affollati a Lille, dove non ti puoi sedere e leggere e devi attraversare grigiume e pioggia insieme a tutte le anime in pena delle ore di punta. Una vera e propria ancora di salvezza, a Esch, tra il secondo e il terzo film di domenica, è stata anche la brasserie portoghese “La rencontre” unico posto aperto per mangiare un boccone di domenica sera nella cittadina che, a detta del bigliettaio dei film della Kulturfabrik, rimane un luogo sinistrato. Un’unica signora in mezzo a tanti uomini portoghesi e lussemburghesi mi ha accolta sotto una luce fioca, enumerando in un portoghese bisbigliato e complice gli unici due piatti disponibili sul menù: un tabucchiano arroz de cabidela** e uno spartano frango assado. Scelta poco letteraria, la mia: “Sto per mangiare un Franco Assante”, ho scritto su un gruppo whatsapp di amiche procidane, per far sorridere soprattutto una di loro che anni fa, venendomi a trovare a Lisbona, in risposta a un “vamos jantar frango assado***” di una mia coinquilina portoghese, mi aveva chiesto perplessa “che ci dobbiamo mangiare? Franco Assante?”, creando scherzosamente un ponte da Procida a Lisbona.
Da allora, il pollo arrosto in portoghese per le amiche procidane è il Franco Assante. Dopo la parentesi lusoprocidana alla Rencontre, sono tornata alla Kulturfabrik per scambiare di nuovo quattro chiacchiere col bigliettaio, questa volta sui pochi locali aperti e sull’assenza di cucenelle attigue alla Kulturfabrik come me le ricordavo io, per ascoltare di nuovo Vasco Brondi e per guardare l’ultimo film della giornata e del mio festival.
Ogni volta, dal festival di Villerupt porto sempre un film nel cuore insieme al nome di chi lo ha realizzato, che poi rimane, come “Un altro pianeta” di Stefano Tummolini, visto al Cinema Rio con mio fratello e un’amica finlandese e con una bellissima versione live di “Mediterranea” di Giuny Russo sui titoli di coda che mio fratello ed io ci ritrovammo a canticchiare nella macchina del ritorno da uno dei nostri primissimi festival. Oppure come “La mafia uccide solo d’estate” di PIF o “Pagine nascoste” di Sabrina Varani o, ancora, “Maternal” di Maura Del Pero, visto nell’edizione prima della pandemia.
Di questa edizione porto “Californie” e l’idea di un ponte, quello sui giorni per andare a vedere il festival, e di tanti costruttori di ponti, come Vasco Brondi, dalla sala di Esch alle mie cuffie, come la libraia della libreria italiana del Lussemburgo, che durante il secondo lockdown mi ha permesso di inviare libri e creare a mia volta un ponte soprattutto con mia madre, che leggeva tanto in quel periodo sospeso a casa di mio fratello.
Costruttori di ponte sono pure quelli che organizzano i film a Esch, dove posso arrivare anche di domenica, e la signora portoghese sola in mezzo agli uomini con la sua brasserie. Un ponte c’è tra Procida e Lisbona ogni volta che mangio un Franco Assante in portoghese, ovunque.
Costruttore di ponte è soprattutto mio fratello, che ha l’età del festival. Ed è stato lui a farmelo scoprire.
(La foto di copertina ritrae un piatto composto al buffet, con cannelloni bianchi abruzzesi, polenta, lasagna, edizione 2018 – By @Cucenellista)
ça c’est quoi?* : Questo cos’è?
un tabucchiano arroz de cabidela** : L’arroz de cabidela, come spiegava Antonio Tabucchi nel suo “Il gioco del rovescio”, è un piatto sefardita, fatto di riso (arroz) con sangue di gallina: gli ebrei non tiravano il collo alle galline, ma gli mozzavano la testa e col sangue ci facevano questo riso.
vamos jantar frango assado***: ceneremo pollo arrosto.