Italvina, Isabel, Augusta e Júlia. Quattro nomi che suonano di Capo Verde. Quattro donne, quattro modi diversi di fare il pudim*, dolce diffuso nell’arcipelago africano. Al cocco o al formaggio, a seconda degli ingredienti disponibili in casa, o seguendo le onde dell’umore, chissà… A noi che assaggiavamo, non ci era dato sapere. Sapevamo solo che il pudim ormai era una garanzia e che al 90% l’avremmo trovato in tutte le case che ci avrebbero accolti. “Noi” eravamo i francisi ed io e il giovane Vlad, la guida locale che ci accompagnava per le salite e le discese dell’isola di Santo Antão. Era de maggio, faceva un caldo piacevole, si camminava assai, soprattutto di mattina, si cambiavano paesaggi come si cambierebbe paese, tante isole su un’unica isola, la più rigogliosa tra tutte quelle dell’arcipelago.
Le porte delle case dei villaggi di Santo Antão si spalancavano per rifocillarci a ora di pranzo. All’inizio, “dalla regia”, ci avevano detto che avremmo alternato pranzo al sacco e pasto dall’abitante. Invece, poi, siamo andati quasi sempre dagli isolani e ne siamo stati felicissimi.
Il primo giorno il pudim ci venne servito, in una sorta di pompa magna contenuta, da Italvina.
Per la gente del posto, si trattava di un dolce forse assai banale, ma per me e i francisi fu amore al primo assaggio: lo accogliemmo con entusiasmo già solo a vederlo. Poi, gli “olalà” di apprezzamento dei francisi pronunciati a labbra strette dopo il primo boccone si prolungarono in un crescendo di pimpanti “olalàlalàlalà” proferiti a bocca spalancata per tutte le cucchiaiate seguenti. Italvina abbassò gli occhi di gratitudine e timidezza, spiazzata e forse anche un po’ imbarazzata da cotanta gioia per un semplice dessert che lei era così abituata a preparare. Da quel giorno, quasi annusavamo nell’aria in ogni casa per capire se ce lo avrebbero servito, attivavamo il pudim-detector già prima di cominciare il pranzo. Spesso c’era una tavola apparecchiata per noi in cortile o comunque in uno spazio esterno alle abitazioni che ci accoglievano.
Per andare in bagno si doveva quasi sempre attraversare la casa. Chi percorreva per primo il corridoio alla ricerca dei servizi igienici, quindi, aveva una missione in più: prendersi la briga di buttare l’occhio qua e là per vedere se c’erano in giro tracce di pudim. Il più delle volte, il dolce veniva lasciato dalle donne di casa in bella mostra su un mobile della cucina o di un’altra stanza, un po’ come i casatiedd a Pasqua, gli struffoli a Natale o i semplici ‘mpast e ‘nforn** della domenica che si potevano (e talvolta si possono) trovare su mobili di case di nonne e zie procidane. Il “je l’ai vu, je l’ai vu” (l’ho visto, l’ho visto) di chi tornava dalla missione bagno e scova-pudim, condiviso a bassa voce e con occhiate complici con il resto del gruppo, rendeva ancora più allegra l’atmosfera delle tavolate nei cortili delle case capoverdiane.
A Capo Verde si parla kriolu, un creolo***, come la stessa parola evoca, derivato dal portoghese, lingua che vivo da anni e che per me ha ormai suoni quasi di casa. Col portoghese, parlato da tutti sul posto, riuscivo quindi a ringraziare in modo elaborato le donne per i meravigliosi pranzi preparati e a complimentarmi con loro soprattutto per il pudim. Ogni tanto, provavo anche a fare domande sulle ricette, e ad afferrare qualche ulteriore ingrediente di cui le capoverdiane parlavano con Vlad in kriolu. Da tutto questo ascoltare e da qualche visita su siti in portoghese, deriva la ricetta che propongo. Ho avuto modo di preparare il pudim (versione al cocco) per amici e famiglia a Procida già un paio di volte.
Ingredienti
- 4 uova
- 1 lattina di latte condensato
- 2 lattine di latte (usare le lattine del latte condensato come misurino)
- 100 g di cocco grattugiato (l’ideale sarebbe averlo fresco, ma è difficile dalle nostre parti)
- 2 cucchiai di maizena
- Opzionale, un calice di vino Porto (io l’ultima volta che ho fatto il pudim, ho aggiunto due cucchiai di limoncello, con un ottimo risultato)
- Salsa di caramello
- 2-3 mandarini per la decorazione
Preparazione:
Allora, innanzitutto bisogna pensare alla salsa di caramello.
A dire il vero, come si può notare dalla superficie piuttosto sbiadita del mio pudim, non ho ancora trovato una ricetta di salsa di caramello soddisfacente. Riporto quella di una signora brasiliana. In un pomeriggio, mi sono fatta una capa tanta di almeno 10 video di signore brasiliane che davano consigli sulla salsa di caramello e questa mi sembra la più convincente, anche se il risultato per me non è ancora stato ottimale.
Preparare la salsa di caramello direttamente nello stampo seguendo il procedimento consigliato dalla signora.
In un recipiente capiente, sbattere le uova e il latte condensato con lo sbattitore.
Aggiungere il latte, la maizena (e il vino o il limoncello se si è deciso di metterli) e continuare a sbattere. Aggiungere il cocco e continuare a sbattere leggermente.
Lasciar raffreddare (ma non completamente) lo stampo che già contiene la salsa di caramello e adagiarvi il composto. Attenzione: il pudim va cotto a bagnomaria: mettere lo stampo che lo contiene in un altro stampo più grande contenente acqua. Infornare a 180 (forno preriscaldato) e lasciar cuocere per 50 minuti.
Estrarre il pudim dal forno e lasciarlo raffreddare. Metterlo in frigo e lasciarlo lì per un paio d’ore. Togliere il pudim dal frigo e rovesciarlo su un piatto rotondo. Decorare a piacimento.
Cabo Verde, Cabo Verde….
Non mancherò di tornare su Capo Verde, con qualche dritta mangereccia delle isole visitate finora. È un paese che mi ha sempre attratta, soprattutto per la musica e per il kriolu, per me lingua molto affascinante, ancora un po’ incomprensibile… familiare e lontana al contempo. E poi Capo Verde è un paese di isole… da isolana, non posso che trovarvi punti di richiamo.
Parentesi-sottofondo musicale: l’anno scorso, la cantante che si sentiva di più in giro, nei bar, in qualche casa e nei pulmini che attraversavano strade a volte polverose o mezze scassate era Mayra Andrade.
Riporto una sua canzone come sottofondo di cucinazione del pudim. Mi sono sfiziata a tradurla, aiutandomi anche con una traduzione in inglese e una in portoghese. È una canzone che sa di isola. Si chiama Limitason**** (“Limite”, vedere testo completo e rispettiva traduzione in nota): per chi vive e ha vissuto le isole l’unico limite è il cielo e chi viene da una terra piccola può avere la tempra molto più forte e la mente aperta.
Tendere l’orecchio: c’è un suono metallico, quasi di posate che si sfiorano tra loro come sottofondo di gran parte della canzone: si tratta del ferrinhu (in portoghese ferrinho), uno strumento musicale tipico di Capo Verde, composto da due parti metalliche che vengono strofinate tra loro per riprodurre il suono. Il ferrinhu si trova anche raffigurato sulle banconote da 1000 escudos capoverdiani.
Buon appetito! E per ora il grande limite da superare per me è la salsa di caramello 😉
*Pudim: è un budino, praticamente
**Casatiedd, struffoli e ‘mpast e ‘nforn: “u casatiedd” è il dolce tipico di Pasqua a Procida, fatto col “criscito” (pasta di riporto). Avrò modo sicuramente di riparlarne. Gli struffoli sono dolci tipici di Natale e ne ho già parlato qui. “U ‘mpast e ‘nforn (impasta e inforna) è un dolce semplice con uova e farina.
***Creolo: lingua derivata dalla combinazione di due o più lingue, senza che si sia verificata la prevalenza dominante di alcuna di esse sulle altre. In particolar modo vengono così definite quelle lingue miste, ad esempio, composte da lingue africane e lingue europee. Il caso del kriolu, creolo di Capo Verde, è di particolare interesse per gli studiosi delle lingue creole, perché pare sia la lingua più antica delle lingue creole vive. Inoltre, il kriolu è il creolo portoghese con la più vasta popolazione di madrelingua (sparsa un po’ ovunque nel mondo, attraverso la diaspora capoverdiana).
**** “Limitason”, testo e traduzione:
Si n ka estendeba bu mon
O da-u sinal di amizádi
Talvés la bu ruspetaba
Bu kre odja-m num gaiola
Pa-m kanta pa ningén obi
Ma na mi ka tem puder
Bu maldadi o bu invéja
Bu toma komu frakéza
Nhas jéstu di jentiléza
Nada bu ka ntendi
Nada ‘u ka ntendi
Bu ka kis valoriza-m
Bu da-m ma bu tem djutom
N bem lembra-u nha valor
Ka bu skési ma pa mi limite é seu
Ko dexa nada ngana-u, é seu!
Jesus nasi lá Belém
Ami en la ciudad Havana
E kria na Nazaré
Ami dentu txom di Praia
Sê stória bem muda mundu
Ntom ko brinká ku nha vos!
N bem d’um kau pikinoti
Nha spritu é mutu más fórti
Nha menti é bastánti abértu
E ka ta sirvi bu jogu, nau
Vos é dimeu, é di povu!
Bu ka kis valoriza-m
Bu da-m ma bu tem djutom
N bem lembra-u nha valor
Ka bu skési ma pa mi limite é seu
Ko dexa nada ngana-u, é seu!
“Limite”
Se ti tendessi la mano
o ti dessi un segno di amicizia
Forse mi rispetteresti
Vuoi vedermi in una gabbia
a cantare senza che nessuno possa ascoltarmi
Ma non hai potere su di me
Con cattiveria e invidia
Scambi per debolezza
I miei gesti di gentilezza
Tu non capisci niente
non capisci niente
Non hai voluto darmi valore
Con una mano mi hai dato e con l’altra mi hai tolto
Ma voglio ricordarti il mio valore
Non dimenticare che per me il limite è il cielo
Non lasciarti trarre in inganno: è il cielo!
Gesù è nato a Betlemme
e io nella città dell’Havana
Lui è cresciuto a Nazaret,
mentre io sono cresciuta a Praia
la sua storia ha cambiato il mondo
Quindi non scherzare con la mia voce
Vengo da una terra piccola
La mia tempra è molto più forte
La mia mente è abbastanza aperta
E non si piega al tuo gioco, no
la voce è mia e del popolo.
Non hai voluto darmi valore
Con una mano mi hai dato e con l’altra mi hai tolto
Ma voglio ricordarti il mio valore
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