La cucina tipica di un posto la fanno le persone. La fanno loro, pure se vengono da altri luoghi, da altre cucine. Un capitolo della storia della cucina di Procida è indissolubilmente legato al nome di Amelia Pietrafesa. La Signora Amelia, la regina di quel paradiso perduto dell’Eldorado.
Per Cuoc@ Nostrom@ di febbraio, Amma Cucenà condivide un suo ritratto, tracciato con gli aneddoti dettagliati di sua figlia Maria Patrizia e colorato dal ricordo divertito e commosso di sua nipote Rossella. Ringrazio moltissimo entrambe per aver evocato con me questa bellissima e carismatica figura a loro tanto cara.
Cucenellista: Come aveva iniziato all’epoca la signora Amelia a cucinare? Potete raccontare un po’ il suo percorso col ristorante?
Patrizia: Allora, lei era arrivata a Procida in visita a uno zio che si trovava ad alloggiare proprio all’Eldorado, nelle stanze al di sopra del locale. Lui stava lì in fitto, era un direttore del Banco di Napoli. Mia mamma era venuta a Procida in visita, insieme alla sorella e alla mamma. Fece amicizia prima con la futura suocera, nonna Maria, la capostipite: l’Eldorado, dove lei cucinava ed era affittacamere, esisteva già da prima della guerra. Mia nonna, molto accogliente, invitò le 3 donne giù a pranzo. In questo modo, quindi, mia mamma conobbe mio padre. Poi si sposarono dopo il periodo della guerra, con un matrimonio all’aperto, stesso lì nel locale.
A quel punto cosa successe: mia madre aveva la passione per la cucina e mia nonna fu proprio contentissima che la nuora, una volta sposata con mio padre, prendesse in mano le redini del locale, perché lei era già anziana.
Da allora mia mamma ha sempre cucinato. Tant’è vero che quando sono nata io lei stava cucinando. Mia madre ebbe le doglie e subito corse su nell’appartamento, proprio quello che affaccia sulla strada. E lì sono nata io, nel ‘55. Poi, quando non c’è stata più mia nonna, lei è rimasta da sola, però con l’aiuto di alcune persone in cucina. Ma era sempre lei che conduceva la situazione.
Per lei cucinare era proprio una passione! Mi raccontava che da piccolina voleva sempre cucinare per la famiglia, stava sempre lì con le pentole a cercare di preparare qualcosa.
A tal proposito, le era rimasto impresso un episodio: una volta si dispiacque talmente perché c’era un pezzo di sapone sul lavello, lei appoggiò il coperchio e questo sapone andò a finire nella pentola. Fu una grande mortificazione perché avevano un cugino a pranzo. Rimase molto colpita da questa cosa, le rimase impressa, la raccontava sempre. Però non si era abbattuta. Anzi, aveva sempre continuato a coltivare questa sua passione!
Rossella: Dille pure che lei aveva studiato da cucina, no?
P: Sì, sì, allora c’erano le scuole di avviamento professionale – si chiamavano così – dove si studiava anche economia domestica e lei aveva scelto la cucina.
R: La nonna mi diceva che lei in Italia era l’unica ad avere il diploma di cuoca. Che diploma teneva?
P: Io mi ricordo solo che lei aveva frequentato la scuola di avviamento. Può darsi che abbia detto qualcosa in più a te…
R: Diceva “pecché in Italia o teng sul i’e ‘stu diplom”*, ma n’agg mai capit che diploma era.
P: Perché non è esistita più, poi, la scuola di avviamento, capito? Prima lì si imparavano tante cose, cose pratiche. Come il cucito, ad esempio, ma mia mamma non ne voleva sapere, perché a quello ci pensava sua madre che cuciva bene. Lei amava cucinare e quindi aveva preferito prendersi il diploma in materia di cucina, ecco.
Aveva fatto quello, poi, arrivando a Procida, aveva un po’ imparato/ereditato anche cose da mia nonna procidana, coniugando la sua esperienza con le cose imparate sull’isola, suppongo. Perché lei ha fatto “sue” diverse ricette. Noi chiedevamo “Mamma ma questo è alla procidana o alla napoletana?” e lei rispondeva: “No, è un poco e un poco…” Cercava di prendere il meglio delle ricette.
R: Infatti la parmigiana la faceva alla napoletana.
P: La parmigiana che cucinava tua nonna era quella fritta senza uova e stesa con sugo, formaggio, mozzarella, basilico e pochissimo uovo battuto messo tra uno strato e l’altro. Diceva “a me piace quella lì che so fare io”. Però, per accontentare, a volte la faceva indorata e fritta, quando le melanzane non avevano consistenza.
C: E quali erano i suoi piatti forti?
P: Diciamo che la sua era più che altro una cucina casereccia. Le persone, quando venivano appositamente a Procida e venivano al ristorante, avevano un’idea ben precisa su cosa chiedere… Col coniglio, per esempio: dicevano che era particolare! Tutt’ora io lo faccio, però il sapore… Era un sapore particolare… Forse erano i conigli allevati “in casa”, da noi. Noi tenevamo i conigli, le galline… Tutto.
Poi avevamo la terra coltivata, un bel po’ di terra. E mia mamma cercava sempre di trarne il meglio. Per esempio, faceva le cose sott’olio, tipo i carciofi – c’era una bella distesa – come pure le melanzane, la giardiniera. Faceva anche le alici salate. Tutto quello che poteva conservare e tenersi per l’inverno, lo faceva. Pure quando si uccideva il maiale, lei utilizzava tutto, fino a fare la famosa liatina**, che le veniva benissimo. Sceglieva con cura tutti i pezzi di maiale “non nobile” (come diceva mio padre) e faceva questa bella liatina. Pure il soffritto faceva.
R: La zuppa di pesce pure!
P: Sì, anche quella richiestissima! Le persone venivano proprio pa’ zupp ‘e pesc. Mi ricordo questa zuppa di pesci, come se la coccolava! Mi diceva “guarda che qua non tutti hanno la stessa cottura, stai attenta!” e quindi metteva i pesci in successione, a seconda delle cotture.
Le persone venivano anche per la minestra maritata, altro piatto che lei faceva quando si uccideva il maiale nostro. La gente veniva appositamente, lei ne faceva pentole e pentole e non bastavano mai…
Poi chiedevano gli spaghetti ai calamaretti. Tra le cose che ricordo lei, quando li cucinava, mi diceva “Mi raccomando, fuoco vivo! Solo in un primo momento coperti, poi scoperti. Quando poi i calamaretti ti cominciano a chiamare…” e io stupita “Mamma, ma come cominciano a chiamare?” “No, scoppiettano… Quando cominciano a scoppiettare, tu devi mettere il pomodoro”.
Cucinava i piatti procidani come il calamaro ripieno, tra le tante pietanze di mare.
Tornando più indietro, all’epoca di mia nonna ad esempio, non si trovava molta roba. Avevano riserve di farina e con la farina facevano un po’ tutto… Infatti tenevamo il forno a legna. Mi ricordo da piccola in quel forno facevano il pane. Si potevano fare i dolci. Da mia nonna ho imparato a fare la pasta a mano: ravioli, gnocchi… Questo poi mi è servito in seguito ad aiutare mia madre, perché lei, presa dalla cucina, mi chiedeva “senti non ho il tempo, mi aiuti?” E io l’aiutavo: le facevo i ravioli, i raviolini, oppure gli gnocchi. Tutto fatto in casa! Ed era normalissimo, non si pensava a comprare queste cose per preparare i piatti.
Il coniglio, ad esempio, si cucinava su prenotazione. Le persone, infatti, chiamavano per assicurarsi questo piatto a cui poi, eventualmente, avrebbero aggiunto altre portate.
Poi faceva i carciofi con i piselli, che lei chiamava la “Petronilla” ed erano una cosa spettacolare!
C: Quindi ci sono stati magari piatti inventati da lei che poi sono rimasti nella vostra tradizione familiare o anche diffusi nella cultura culinaria procidana?
P: Forse qualcosa di inventato particolarmente no… Diciamo che eventualmente lei apportava delle modifiche alla cucina di qua. Io penso che il coniglio, da che ho sentito – altre cotture, altri modi di fare – qui non era, a volte, come lo cucinava lei. Forse lo faranno in tanti. Però, per dirti, le persone venivano appositamente perché dovevano mangiarsi il coniglio fatto da lei, che non era ‘’salsoso’’ per niente – col pomodorino, che poi doveva condire anche i bucatini (bucatini col coniglio, foto di copertina, piatto cucinato e preparato da Maria Patrizia Esposito). Veniva benissimo!
Lei per ogni ricetta ci ha messo del suo. E poi aveva esperienza! Se sbagliava qualcosa, diceva “no, a prossima vot aggia fa accussì”*** e cambiava..
Si sceglieva la materia prima. La vedevi che se ne andava con quelle ceste coniche sotto al braccio e io “Addò vai ma?’” “Vac ggiù a votc” “E che vai a fa giù a votc?” “Vac a fa ddoie carcioff, l’aggia sceglier i’e, pecché sinò m luat tutt’e’ mammarell”****. Che poi ‘ste mammarelle s’avevna regalà principalmente… Anche cucinare, ma principalmente regalare. Poi, quando c’erano quei grossi figli, lei se li coglieva tutti, perché doveva cucinare la Petronilla (lei la chiamava così ma io non l’ho trovata da nessuna parte..).
C: Forse quella allora l’avrà inventata lei, la Petronilla…
P: Faceva la cipolla e la pancetta, poi faceva tirare un po’ i carciofi, poi ci metteva i piselli. Quando erano belli cotti, all’ultimo minuto ci doveva andare il vino rosso, che poi io ho trovata ricette del genere sempre col vino bianco. Ma lei ci doveva mettere il vino rosso, perché doveva dare quel colore un po’ violaceo. Era buonissima, anche perché aveva la pancetta fatta col lardo del maiale nostro. Me la sono ricordata pochi giorni fa, la famosa Petronilla! La teneva sempre lì perché c’erano tanti carciofi, piselli.
C: A casa di mio padre facevano più la cianfotta
P: Questa la faceva mia zia, molto anziana, i primi tempi. Lei non la cucinava tanto perché secondo me a lei non piaceva.
Poi faceva le polpette di melanzane, di alici, all’epoca se ne facevano tantissime!
Tra le cose principali, come dicevo prima, c’era anche la minestra maritata.
R: La minestra maritata la faceva diversa…
P: Prima il maiale allevato in casa era molto più grasso, anche perché mangiava i resti del ristorante… Quindi i pezzi erano un po’ più grassi. Infatti mi ricordo che quando il giorno dopo questo brodo si doveva sgrassare e togliere, c’era un bel panetto sopra: veniva molto più ricca. Mio fratello Gerardo, ad esempio, la fa anche lui più ricca, come la faceva mia madre: ci mette la cotenna che a me non piace, io ne metto una, tanto per… La sua è già da un po’ che non la mangio. L’ultima volta che l’ho mangiata è stato quando era ancora viva mia madre. Lei, anche se non riusciva più a camminare bene, sorvegliava tutto, aveva una bella memoria, non si perdeva niente. Veniva a casa a mangiare e diceva “hai fatto bene, mi piace… però…” c’era sempre quel “però” che doveva aggiungere e io la lasciavo fare perché a lei faceva piacere. Mi domandava “Cosa hai fatto? Come l’hai fatto?”
Ritornando al coniglio, ad esempio, non so come lo fate voi, lei lo faceva con la cipolla, non lo faceva con l’aglio.
C: Sì, noi lo facciamo con l’aglio. Ho sentito di persone qui a Procida che mettono la testa d’aglio intera, con tutta a vest, diciamo così. Noi, anche per questioni di digestione, ne mettiamo meno di una testa e poi lo togliamo pure l’aglio dopo la cottura. Così si sente meglio anche il sapore del coniglio. Però mi rendo conto che poi è una cosa che varia veramente di famiglia in famiglia….
P: Sì, io ho visto altri che lo fanno marinare nel vino per una giornata intera. Una cosa a cui lei teneva moltissimo: mi diceva di soffriggerlo prima, con olio a parte. Penso lo fate pure voi.
C: Sì, lo facciamo pure noi.
P: Poi lo metteva in un tegame con la cipolla e la pancetta e lo faceva ben rosolare. Quando era bello rosolato, aggiungeva il vino. Poi, una volta che si era consumato per bene, ci metteva il pomodorino.
R: Il rosmarino pure ci metteva, no?
P: Sì certo, il rosmarino!
C: Come permane nella cucina di famiglia il ricordo e l’insegnamento della signora Amelia? A tutti in famiglia piace cucinare?
P: A me piace cucinare, però mi piace quando ne siamo belli tanti e quindi mi do un po’ più alla pazza gioia e lo faccio con piacere. Sì, ce lo ha trasmesso l’amore per la cucina, questo è vero! Mio fratello cucina tutt’ora, e ogni tanto mi dice “sai, ho fatto questo, ho fatto quello”.
R: L’ultimo periodo ha cucinato zio Gerardo al ristorante?
P: L’ultimo periodo (fino alla chiusura nel ‘98) mio fratello (zio Gerardo) ha cucinato sempre con mia mamma. Però era sempre lei che dirigeva.
R: L’amore per la cucina era molto evidente, traspariva in tutto quello che faceva, dalle piccole alle grandi cose… Pure se stava pulendo la verdura.. Si notava moltissimo questo piacere che lei aveva nel cucinare! Però, nello stesso tempo, diceva che comunque aveva fatto una vita sacrificata, perché era stata sempre in cucina, ma questo non lo diceva in senso negativo… Diceva che era stata tosta ma che aveva avuto comunque tante soddisfazioni.
Io le prime esperienze a cucinare le ho fatte con lei e lei mi ha trasmesso questo amore per la cucina, l’amore per la creazione di piatti… Lei magari non li creava, però ‘ncap a me sì! Gliela vedevo questa creatività, c’era!
Ad esempio mi ha insegnato a fare la besciamella quando ero proprio piccola…
P: A proposito di besciamella, lei stava sempre sulla sediolina a girare col cucchiaio nella pentola ed era una cosa bellissima perché stava impegnata.. Le piaceva avvicinarsi alla pentola e girare. Se la metteva lì e io le dicevo “Mamma, attenzione con ‘sto pentolone grande!” e lei rispondeva “Non ti preoccupare, chell è brav!”
C: Mi piace molto questa cosa, di cui si parlava anche poco fa a proposito dei calamaretti: è come se lei personificasse le cose della cucina “la pentola è brava… i calamaretti ti chiamano”…
P: Sì, sì! Ma pure i polipetti… Lei faceva “I polipetti s’anna arraggià!” E lo diceva convinta! Era decisa e determinata sulle cose, sapeva bene quello che faceva e quello che voleva!
R: Mamma, raccontale la scena che faceva con Ciccone…
P: Nicola, detto Ciccone, vendeva il pesce. Mi ricordo che tutte le mattine passava con il suo carrettino per vendere il pesce fresco. Mia mamma a volte non andava alla paranza perché passava sempre Nicola la mattina. E c’era a volte una scena bellissima: mia mamma, pur non essendo procidana, aveva imparato a intendersene di pescato fresco e quando lui voleva venderle qualche pesce che a lei non andava bene facevano le sceneggiate. Noi stavamo lì a guardare e ci divertivamo, perché lui si arrabbiava, faceva l’offeso e mia mamma “A chi la vuoi dare questa cosa?!” Poi andava a finire che il giorno dopo arrivava con pesce più fresco e più buono e mia mamma lo cucinava. Lei ci teneva per Ciccone perché da lui comprava spesso e poi portava pesce particolarmente fresco.
C: Mio padre aveva un bellissimo ricordo della cucina dell’Eldorado, ci accompagnava le persone quando faceva il tassista e parlava sempre della signora Amelia come una delle persone più autorevoli della cultura culinaria procidana, pur non essendo originaria dell’isola. Che ricordo hanno i procidani di lei?
P: Le persone che conosceva erano quelle che erano venute al ristorante… Chi è passato, l’ha incontrata, l’ha conosciuta, ha bellissimi ricordi di mia madre, come pure ce li aveva tuo padre che se la ricordava.
Mi ricordo persone di origini procidane che alloggiavano all’Eldorado quando venivano a Procida, lo consideravano un punto di appoggio per poi andare a trovare i parenti. C’erano persone che venivano da Milano ad esempio. Noi poi avevamo pure la discesa a mare lì, all’epoca si poteva scendere ed era una bella situazione, si scendevano 7 rampe.
Diciamo che io ho avuto più che altro testimonianze fondamentalmente da persone che sono venute o sono venute soprattutto a mangiare, perché mia mamma poi del resto stava sempre in cucina. Stava sempre lì, non usciva mai
R: Però alla fine si andava a truccare, ti ricordi?
P: Certo, certo. Si andava a preparare – come faceva del resto mia nonna. Mentre stava cucinando, se c’era una persona che voleva parlarle, lei si andava subito a preparare. Era così.
C: Quindi la signora Amelia interagiva anche con le persone che venivano all’Eldorado?
P: Interagiva, eccome! C’erano delle persone che le dicevano “Signora Amè, ma quanti anni avete?” (quando tipo teneva 50-60 anni) riferendosi al fatto che non avesse rughe “Ma come, non ci sembra proprio!” e lei rispondeva “È l’olio delle fritture di pesce che mi mantiene bene!” Usciva poco, però con le persone che venivano lei era molto socievole, era capace di stare ore e ore a parlare. Poi all’improvviso diceva “un momento, un momento, devo scappare” perché aveva sempre una cosa sul fuoco.
Dacia Maraini andava in cucina e chiedeva “Signora, cosa avete cucinato?” doveva vedere lei personalmente “No, perché mi piace moltssimo guardarvi cucinare” e mia mamma si beava tantissimo di questa cosa.
Poi una volta successe una specie di Carrambata: mia mamma, essendo napoletana, aveva frequentato le scuole a Napoli e un giorno si rese conto di essere stata nella stessa classe con la mamma di Peppe Barra, alle elementari. Quando Concetta Barra venne all’Eldorado fu una cosa bellissima: lei uscì fuori a salutarla, si abbracciarono!
Poi c’erano state altre figure importanti come Elsa Morante, Cesare Brandi. Venivano apposta per la cucina, loro soprattutto all’epoca in cui c’era anche mia nonna, che è morta nel ‘68. Mia mamma parlava di Elsa Morante come una donna molto dolce. Poi diceva “quel marito, quell’ Alberto Moravia… Come litigavano! Continuamente!” Li sentiva spesso litigare e lei, Elsa Morante, se ne andava spesso a scrivere in fondo, verso il mare, a metà viale dove c’erano dei sedili: amava scrivere lì. Spesso sostava anche in una casetta che stava proprio sul mare.
Mi ricordo che negli anni 70 avevamo degli studenti che venivano da Ponza e ci mandavano delle granseole grosse, enormi, bellissime! Oppure le aragoste – quando mia mamma le cucinava, io prima me ne scappavo perché queste aragoste che sbattevano dentro alla pentola non mi piacevano proprio! Faceva il sugo con la granseola ed era la fine del mondo! All’epoca mi ricordo che i ponzesi ritornavano e gliele portavano perché sapevano che erano apprezzate e lei se le cucinava, le faceva a mio padre. Lei è stata anche una mamma per tutti questi ragazzi fuori sede di Ponza che stavano da noi in pensione. Mi ricordo che andavano da lei “Signora Amè, i n’o boglio chest, nun me piac…”**** lei cambiava, gli faceva un’altra cosa. Mio padre seguiva la disciplina, vedeva se si comportavano bene anche a scuola. Lei era il punto di riferimento, a 360°.
C’è poi un aneddoto di una principessa – che era venuta a soggiornare all’Eldorado. Alla sua bambina non piacevano gli gnocchi, la principessa diceva “prendete il piatto, copritelo e ripresentatelo stasera!” “Io nun c putev passà” diceva mia mamma “I’e c vulev fa n’ata cos, ma a ser ce representai n’ata vot ‘o piatt, fin a quand a criatur nun s’mparai a mangià ‘e gnocch”. Lei si mortificava perché voleva accontentare la bambina!
Mia madre voleva accontentare tutti! Se veniva qualcuno a cui piaceva un piatto in particolare e diceva “Signò, mi farebbe piacere questo…” lei lo faceva subito. Era fatta così.
È stata una grande guerriera! Non solo ha avuto a che fare con la cucina, ma ha seguito un po’ tutto l’andamento della casa.
Venivano a mangiare anche quelli della capitaneria. Faceva di tutto lei, preparava pure pasta al forno, cannelloni, lasagne.. Tutto questo comunque lo cucinava.
La gente amava andare soprattutto a pranzo, piaceva molto soggiornare sotto i limoni e gustare zuppe di pesce – ripeto, queste erano le cose preferite – coniglio, spaghetto al calamaretto…
R: Ma pure a cena andava la gente, io mi ricordo!
P: In generale più d’estate, quando c’erano anche i pensionanti e quindi la gente mangiava sia la mattina che la sera.
R: Ma poi ci stavano dei clienti che venivano tutti gli anni, persone che venivano e si facevano un mese all’Eldorado…
P: Anche due!
C: Quindi tutta l’estate…
R: Sì! Come fai adesso a farti un mese a pensione?
P e R: Completa!
P: Vabbè diciamo che i prezzi comunque non sono stati mai alti da noi. Questi venivano perché sapevano che avrebbero trascorso 2 mesi in cui sapevano cosa mangiavano, tutto cucinato bene… “E una bambina vuole questo e una bambina vuole quell’altro….”
C: Una volta c’eravamo capitati a mangiare con mio padre, ma a inizio anni ‘80 (ero piccolissima). Ho questo ricordo molto preciso, d’inverno, che c’erano la pizza di scarole, le lenticchie…
P: Forse era nel periodo natalizio… Lei sulla tradizione ci teneva moltissimo, la pizza di scarole la faceva benissimo!
R: Ma poi cucinava le cose dell’orto, quindi rispettando la stagionalità delle verdure…
P: Esatto, questa era la cosa importante. Nell’orto si coltivava un po’ di tutto.
Per rispettare la tradizione, nelle ricorrenze pure i dolci preparava… Il periodo prima di Pasqua faceva quintali di pastiere!
R: Sì, mi ricordo le pastiere… Le faceva e le regalava a tutto il mondo!
P: Diceva sempre che ci voleva la giusta dose del profumo, oppure veniva troppo forte. Era molto attenta in questo, le regalava a tanti. Però sai la cosa bella? Lei andava di fretta e io l’aiutavo con la pasta frolla. Poi cominciava a mettere le strisce di fretta e io che sono un po’ perfezionista le dicevo “mamma fermati, faccio io” e gliele mettevo tutte belle, tutte dritte, precise e lei diceva “‘e ragion è megli’accussì, so’ cchiù bell”. Quando si preparavano, si usavano quelle bacinelle grosse. Là dentro si impastavano, pensa quante se ne facevano!
R: Mi ricordo pure certe pentole che quando ero piccola mi sembravano enormi!
C: In proporzione con una bambina, poi!
P: E dei pentoloni di sanguinaccio, ne vogliamo parlare? Quando vedevo fare questo sanguinaccio, assolutamente col sangue del maiale (adesso è vietato), scappavo perché non volevo vedere. Come si quagliava il cioccolato, ricomparivo e mamma me lo metteva in un bicchiere e io aspettavo che si raffreddasse per poterlo mangiare. Sempre pentoloni a non finire.
Poi tutti aiutavano durante la preparazione delle bottiglie di pomodoro, delle conserve e per la vendemmia. Ognuno aveva una sua funzione. Dove c’era la sala dell ‘ex Mimante (la sala dopo, non quella del bar) era tutta cantina e si faceva il vino. Ogni periodo aveva un suo rituale e ognuno contribuiva, nel suo piccolo. Pure io, anche se non cucinavo, aiutavo.
R: Ma nessuno cucinava. Anche quando era più anziana, lei dirigeva, però nessuno faceva cose di sua spontanea volontà. Mi ricordo che c’era sempre una persona che puliva il pesce.
P: Prima lo faceva mia zia Felicina, anziana. Io le dicevo “zia ma come fai a pulire tutti questi pesci”. Lei era addetta al pesce e ad acchiappare il pollo, in due secondi, era bravissima… se l’ammazzava, s’o spennav.. E ammazzava pure il coniglio. Diciamo che gli agriturismi di adesso c fann nu baff.
R: Ma prima non esisteva questa parola “agriturismo”, però effettivamente lo era.
P: Sì, era un agriturismo a tutti gli effetti. Si facevano accoppiare i conigli e si allevavano, era normale. C’era la cova dei pulcini e nascevano i pulcini. C’erano la capretta, il maiale…
C’erano animali di tutti i tipi all’Eldorado: pure la scimmia, i pappagalli, e tanti uccelli bellissimi come il merlo metallico. A volte i ragazzi, di ritorno da viaggi su mercantili da paesi esotici portavano a Procida pappagalli e altri animali. Poi, non potendoli curare personalmente, li affidavano a mio padre Arcangelo. Papà se li prendeva e li curava personalmente perché amava tutti gli animali. Nell’Eldorado c’erano due grandi voliere ed alcune gabbie con scimmia e scoiattoli. Pensa che per qualche anno, a San Giuseppe, accompagnavo mio padre alla fiera degli uccelli a Via Medina e lui sceglieva l’esemplare più bello e lo portava all’Eldorado.
Mio padre insegnava, se la vedeva poco con la cucina, era l’assaggiatore ufficiale (poi è passato pure mio marito ad assaggiatore ufficiale) e si occupava della parte estetica. A lui piaceva tenere bene fuori, tutto preparato, tutto bello in ordine, quindi con tutti i fiori, gli uccelli, le piante. Ovviamente con gli aiuti necessari.
R: Poi scendevi e ti mangiavi i fichi, le prugne perché c’erano gli alberi… Era proprio un’altra dimensione.
P: N’ata dimensione… Per i frutti uno dice “possibile, sono sempre più buoni quelli che tu ti ricordi?” Sì! Ma pure per esempio quando noi mangiavamo le cose del maiale…. Facevamo i salami, la pancetta… Mamma mia che era… Tutti quei sapori io li vorrei riprovare ma dovrei solo fare le stesse cose che facevamo allora. Ma come si fa?
C: Se siete ancora in contatto con alcuni vecchi ospiti dell’Eldorado o figli/nipoti di vecchi ospiti, che ricordi hanno loro della signora Amelia?
P: Per questa domanda poteva essere d’aiuto mio fratello, perché chiamano principalmente lui, visto che poi ha continuato l’attività per un periodo e qualcuno è rimasto in contatto. C’è Rosamaria, lei ha ricordi bellissimi… Capita che vedo su Storia Fotografica o Se sei di Procida, quando c’è qualche foto dell’Eldorado, delle persone rispondono “Ricordi belli… infanzia bellissima… La signora Amelia dell’Eldorado!” . Ma con Rosamaria noi ci teniamo in contatto con Facebook e lei dice sempre “Che bei ricordi, la signora Amelia!”
Quindi doveva essere un bell’ambiente!
R: Sì, ma poi era divertente stare là, c’era sempre un sacco di gente e chiacchieravi mo’ con uno, mo’ con un altro… Poi venivano comunque da tutt’Italia e anche dall’estero, qualche straniero pure me lo ricordo… C’era la baronessa, c’erano dei personaggi mitologici che turnavn semp.
P: La baronessa Anna Maria Galli Zugaro era una traduttrice internazionale che stava a Procida. Persona squisita colta e preparata. Era proprio una nostra amicissima perché stava sempre da noi.
Veniva spesso anche Peppe Barra: la serata con lui era d’obbligo.
R: Io mi ricordo sempre una marea di gente, tavolate e tavolate di gente.. Mi ricordo un Natale con una tavolata di 50 persone… Invitava semp gent!
P: Questo deriva anche da mia nonna, mia nonna era lo stesso. Chiunque arrivava, ci si sedeva a tavola e la tavola si allungava. Quando si festeggiava la festa di Santa Maria, per le mie due nonne e per me (perché mi chiamo Maria Patrizia): c’erano degli amici, le zie, si creava un tavolone che prendeva tutta la sala interna dell’Eldorado…
R: Mi ricordo pure muratori, zampognari… Il periodo di Natale stev semp nu sacc e gent.
P: Gli zampognari venivano sempre a mangiare. Veniva il monaco di Gerusalemme e lei si sedeva a tavola.
Un’altra cosa bellissima che io ricordo, erano delle belle merende di quelli che zappavano la terra che arrivavano verso le 10, le 11. C’erano queste marenne che partivano dalla cucina – pane e pomodoro, pane e qualsiasi cosa – e andavano in mezzo all’orto e loro si facevano questo break… Era bellissimo! Vedendo – sono stata sempre una buona forchetta – mi facevo le marenne pure io!
Era una casa in continuo movimento. Lei diceva sempre “io non mi posso muovere perché la casa non può rimanere sola”. Lei era il perno!
C: Anche la casa personificata!
P: Devi pensare che lei era il perno e poi c’era una frequenza di persone, di amici intorno…
R: Evangelista!
P: Sì, Evangelista. Da piccola vedevo grosse tavolate di queste tombolate a casa mia, quando c’erano Evangelista e tutti gli altri. Risate da morire. Nel periodo di Natale mio padre per fare il presepe chiamava sempre Evangelista che veniva a casa e io mi mettevo lì a guardare, mi piaceva: in tutto l’angolo del salone si costruiva ‘sto presepe con la colla e la cartapesta. Ne ho un ricordo bellissimo!
C: Come figura di donna, anche se voi poi avete intrapreso delle professioni diverse da lei, come vi ha influenzate?
P: A me all’inizio voleva farmi studiare le lingue. Diceva che erano importanti. A lei piaceva particolarmente il francese, perché lo aveva studiato a scuola e quando venivano i francesi lo parlava correntemente, anche se aveva fatto la scuola di avviamento all’epoca. E pure a me è sempre piaciuto il francese, forse l’ho ereditato da lei… Però non mi permettevano di viaggiare e io dicevo “mamma come devo fare? Come devo imparare la lingua? Dovrei viaggiare…” Mio padre, figurati, a quell’epoca non se ne parlava proprio e quindi poi mi sono riorientata verso le attività artistiche, perché mi piace disegnare.. Però per dedicarmi maggiormente alle discipline artistiche sarei dovuta andare a Napoli, ma mio padre non voleva. Quindi ho studiato presso l’istituto magistrale qui a Procida con mia soddisfazione, perché ho potuto fare in seguito un lavoro che mi piaceva. Infatti devo ringraziare i miei genitori se ho svolto un’attività che mi è piaciuta moltissimo (stare con i bambini). Mio padre, invece, che insegnava lettere, voleva che entrassi nella scuola. Quindi alla fine sono stata indirizzata più dal lato paterno.
Invece mio fratello Gerardo ha continuato l’attività di ristorazione.
R: Ti ha influenzata anche sul canto perché pure lei cantava da giovane…
P: Sì, mi ha trasmesso anche questa passione. Lei cantava da giovane e io da piccolina volevo imparare, come pure volevo imparare il piano, ma all’epoca non c’era chi mi accompagnasse a lezione sulla Terra Murata. Però – c’è un però – lei diceva “famm sentì” e poi commentava “No, statt zitt ca si stunat”.. Quando poi sono cresciuta mi sono detta “devo vedere mia mamma se ha ragione” e mi sono presentata nel coro e perciò mi ritrovo a cantare. Mi hanno detto “guarda, tu non sei stonata, assolutamente, hai una bella voce!” Quando lo dissi a mia madre, lei fece “Overament? Canti nel coro? Brav! Ma tu nun ir stunat?” Quindi lei, con tutto che aveva ormai un’età, se lo ricordava. Poi quando mi ha sentita mi ha detto “Hai ragion, brav, tieni ‘na bella voce!” Meno male, meglio tardi che mai!
R: Mia nonna aveva una voce che risuonava dalla cucina, si sentiva fortissima, pure se doveva chiamare qualcuno, tipo mio zio “Gerààààà!!!!” Si sentiva per tutto l’Eldorado. Una voce bellissima !
P: Quante volte le ho detto “Mamma, vuoi andare in un coro? Ti faccio andare in un coro, vai!” e lei “Io? Nooo, ma quando mai, I’ teng che fa, non posso…” ha sempre messo da parte la sua vita per mandare avanti la casa…
R: A me raccontava un sacco di cose, quindi perciò pure io me le ricordo, altrimenti le avrei dimenticate.
Ci teneva che io avessi studiato, era contenta di questa cosa, era molto orgogliosa. Mi ha trasmesso l’amore per la cucina, ho questo ricordo da bambina, con la besciamella.
E poi la cosa che piaceva fare molto a mia nonna era giocare a carte. Quindi la sera faceva di tutto per finire presto per farsi una partita a carte.
P: Ma la sera infatti con i pensionanti si creavano dei tavolini. Lei si preparava, usciva dalla cucina e c’era l’accoglienza di tutti i pensionanti: lei stava un poco con uno un poco con un altro..
R: Poi le piacevano molto i cani, sia a lei che a mio nonno, c’erano gli alani. Quindi penso mi abbia influenzata anche nell’amore per i cani.
C: Una canzone che vi fa pensare a lei, oppure che lei cantava sempre?
P: A lei piacevano molto le canzoni napoletane, la sua preferita era ‘’Io te vurria vasà. Quando ne aveva la possibilità la cantava per noi e per qualche amico che sapendo della sua bellissima voce la richiedeva . Ricordo che a novantanni la cantò, negli ultimi giorni in cui eravamo in ospedale. Nessuno aveva pensato che la stesse cantando lei… Si mise a cantare ‘’ zitt zitt.’’ Aveva una voce da giovincella. Dissi “Mamma, alza la voce, fatti sentire!” Insomm, arrivarono tutti quelli che si trovavano nei pressi della sua stanza per ascoltarla mentre cantava: “’Io te vurria vasà“.
Intervista realizzata in videochiamata Procida (Solchiaro-Sant’Antuono)-Napoli il 24 gennaio 2021
“pecché in Italia o teng sul i’e ‘stu diplom”*: perché in Italia questo diploma l’ho solo io.
liatina**: gelatina.
“no, a prossima vot aggia fa accussì”***: no, la prossima volta devo fare così.
“addò vai ma’?” “vac ggiù a votc” “e che vai a fa giù a votc. Vac a fa ddoie carcioff, l’aggia sceglier i’e, pecché sinò m luat tutt’e’ mammarell”****: “dove vai mamma?” “vado giù alla votc (zona con terreno rivoltato). Vado a raccogliere due carciofi, li devo scegliere io, altrimenti voi mi togliete tutte le mammarelle.”
“Signora Amè, i n’o boglio chest, nun me piac…”****: Signora Amelia, questo non lo voglio, non mi piace.