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Le fave cotte, quelle col mussiddo da togliere

Le fave fanno tanto primavera e soprattutto Pasqua, Pasquetta, Venerdì Santo… Quelle fresche, però: verdi, profumate, che vai a raccogliere nell’orto, le sbucci, le togli dal baccello  una per una passandole tra le dita come i misteri della corona di un rosario e le mangi. 

Ci sono poi le fave secche, beige scuro o marroni, chiuse una a una in un sacco fatto di panno da tirare fuori soprattutto d’inverno, quando si vuole mangiare una pietanza calda, semplice, povera, saporita. I campi di fave a fine febbraio o inizio marzo cominciano a fiorire e tu li guardi, puoi già vantarti di assaggiare una prima fava verde e fresca, mentre annusi quelle secche in un bel piatto fondo fumante, ecco il rivelarsi delle poche, pochissime promesse che si mantengono, anche se si è perso il colore della speranza. 

Certo, questa sorta di zuppa incolore è una pietanza per i più non associata alle grandi celebrazioni, ma accende per me un ricordo colorato e caloroso: quello della festa di compleanno dei quaranta. Sono nata in una data per certi versi scomoda, molto vicina al Natale e questo ha fatto sì che mi ritrovassi a individuare date verso la fine di dicembre per festeggiare ad esempio i 30 o i 40, visto che nella vera data per lo più si è impegnati e concentrati sulla preparazione della cena e pranzo della vigilia e del 25.

Per i miei 40 festeggiati quindi rigorosamente a fine dicembre, ci fu un pranzo seguito da tombolata con gli affetti stabili, quando questa parola non esisteva ancora. C’era ancora papà che partecipò attivamente alla consulenza per il menù: cucinammo noi. Mia madre si occupò della pizza di scarole, io di crocchette di pollo e arancini che mio fratello mi aiutò a friggere, mio padre preparò la liatina e, dulcis in fundo, le fave in squadra con mia madre. Dei brigadeiros fusion siculo-brasiliani e la baba de camelo (bava di cammello) portoghese furono i dolci preparati da me medesima per chiudere il pranzo.

Qualche giorno fa, io e mia madre in visita a Lille abbiamo mangiato le fave portate da lei da Procida e cucinate nello stesso modo della preparazione di quel compleanno: semplici, messe a bagno, bollite e poi condite con sale, olio e limone. Ne abbiamo parlato anche a una giovane signora del mio appuntamento del sabato mattina, di quando vado a depositare il compost in un contenitore gestito da un’associazione di quartiere. Mia madre spiegava come preparare le fave e a un certo punto era difficile tradurre una parola, u mussiddo: dopo aver messo a bagno le fave, s’adda tagghià u mussiddo, tradotto letteralmente il musetto. Come spiegare il mussiddo alla nostra interlocutrice francofona?

Fave col mussiddo – Foto by @Cucenellista

Trattino nero o sorriso che non rende né idea né giustizia, il mussiddo lo tengono solo le fave personificate procidane.

Le fave secche, come tutti i legumi, hanno diverse proprietà nutrizionali e in tempo di carestia venivano abbrustolite e mangiate. 

Vediamo come cucinare un buon piatto di fave secche.

Ingredienti per 4 persone

  • ⅕ kg di fave secche
  • Sale q.b.
  • Olio EVO, mezzo cucchiaio a testa
  • Succo di limone a piacere
  • Opzionale, a stacca r’egghio (la foglia d’aglio)

Procedimento

Sciacquare le fave e lasciarle a bagno in acqua con un pizzico di bicarbonato per una notte. Il giorno della cottura, sciacquare per bene le fave ed luà u mussiddo, ovvero staccare con un coltello la riga nera che si trova su un’estremità del legume.

Eliminare il mussiddo aiutandosi con un coltello – Foto by @Cucenellista

Sciacquare le fave nuovamente e metterle in acqua a bollire fino a quando non sono cotte. In genere, con una pentola a pressione, il tempo di cottura è di circa 30-40 minuti, mentre con una pentola semplice, bisogna aspettare un’oretta prima di assaggiare le fave e vedere se sono ben cotte (morbide, deve essere possibile schiacciarle). Aggiungere il sale a fine cottura. Servire le fave in un piatto fondo o una ciotola da zuppa, condirle con olio evo a crudo, aggiustare di sale se necessario, aggiungere aglio se  gradito e il succo di limone.

Il brano che accompagna questa ricetta è A rumba de scugnizzi scritta da Raffaele Viviani e interpretata dalla NCCP nel 1973, dove viene citato “o campo ‘e fave”.

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