L’attesa ogni anno si fa trepidante, già dagli ultimi giorni di gennaio. Praticamente è quasi come se fosse Natale. Arriva quella settimana di febbraio, fino a qualche anno fa prevista verso la fine del mese, poi progressivamente spostata all’inizio, dal martedì al sabato. In quei giorni non si parla d’altro. Abbiate pazienza, io divento monotematica, da Cucenellista mi trasformo anche in Canzonellista. Per me è sempre stato così, da quando mi ricordo di avere memoria. E così è sempre stato anche per mia madre, che mi ha trasmesso questa sana sanremite.
Alla fine degli anni ottanta e poi per tutti i novanta, guardavo sempre il festival di Sanremo con la nostra più cara vicina, con mia madre, mio fratello e quando era in periodi di sbarco, anche con mio padre. Era una festa, un’occasione d’incontro, di condivisione di opinioni, commenti, battute. Si tendeva l’orecchio, si aguzzava la vista, si ascoltava, si parlava, spesso si mangiava e si beveva. E soprattutto, si rideva. Poi le canzoni rimanevano nella memoria, le si associava innanzitutto a quel momento del primo ascolto condiviso. Poi ognuno le faceva sue, le portava per strade via via sempre più intime, più personali.
Mia mamma mi racconta che per il Festival di Sanremo, quando era piccola e adolescente lei, c’era stato innanzitutto il passaggio dall’ascolto in radio alle serate davanti alla tv. Anche lei ha ricordi bellissimi di piacevoli momenti condivisi, ma anche di appiccichi* generazionali. Lei e sua sorella, ad esempio, aspettavano Caterina Caselli, Nada, Marisa Sannia, Bobby Solo, Gigliola Cinquetti o Sergio Endrigo, mentre la loro zia si ostinava a dire che l’unico che sapeva cantare era Claudio Villa, quindi gli altri se ne dovevano solo tornare a casa.
Questo spirito di condivisione “Amma wuardà Sanremo” (dobbiamo guardare Sanremo) tramandato di generazione in generazione mi accompagna nella distanza, nei commenti su Whatsapp scambiati in migliaia di messaggi con le mie amiche di Procida e mia madre per tutte e cinque le sere del festival.
E ho voluto portare e mantenere questa sacra e sacrosanta condivisione anche qui a Lille: ormai ho la tradizione, che dura già da anni, di invitare amici francisi ed europei a cena per la finale del festival di Sanremo del sabato sera.
Ovviamente, anche quest’anno la tradizione è stata rigorosamente mantenuta e come sempre ho proposto varie pietanze agli ospiti della mia serata.
Faccio un po’ una pinguinata tattica nucleare e propongo il mio personalissimo “Settanta Volte” abbinato essenzialmente ai piatti serviti per la cena di ieri sera e alla bibita del dulcis in fundo, the last but not the least. Stay tuned… Mettetevi comodi, leggete e ascoltate.
E allora “Musica maestro” si aprono le danze delle panze, via libera all’accostamento tra pietanze e canzoni, a volte con una logica, a volte un po’ a comm m gir a capa, tanto per citare il nome di una pizza di un noto e ruspante ristoratore procidano.
Partiamo con gli antipasti, ce ne sono ben tre.
- Frittelle di cavolfiore
Uno stuzzichino sfizioso, un frienn & magnann facile da preparare e anche da mangiare. A questo piatto proposto tra gli antipasti abbino “È tutto un attimo” (Anna Oxa, 1986).
Sapore deciso, cuore morbido in infarinatura croccante: vist e nun vist, è tutto un attimo di tutto un magna magna casereccio. Stendi una mano, afferra la frittella, passa la guantiera a destra, poi a sinistra, mentre come sottofondo c’è la musica dell’Eurovisione che apre Sanremo e quest’anno abbiamo avuto diritto anche all’inno di Mameli suonato dai carabinieri durante l’antipasto.
Ma andiamo avanti, perché mentre le frittelle diminuiscono a vista d’occhio dal piatto, ci si butta poi sul secondo antipastino sfizioso.
- Il pecorino romano da intingere nella marmellata di mele cotogne di mia madre
Le mele cotogne potrebbero far pensare a Toto Cutugno, che quando ero piccola era abbonato al secondo posto… E chi avrebbe immaginato che poi il suo Italiano vero (1983) sarebbe stato per me un pezzo di premonizione nazionalpopolare di emigrante del futuro? Invece questo antipasto l’ho abbinato a Paola Turci e alla sua “Bambini (1989)”.
Romana doc, come il pecorino che ho la fortuna di trovare qui nelle salumerie italiane, Paola Turci non poteva mancare in questa piccola selezione di piatti e canzoni, trattandosi della mia cantante preferita. “Bambini”, poi, mi fa pensare al dolce delle mele cotogne che si sposa col sale del pecorino.. Avevo 10 anni quando questa canzone fu proposta, mi allontanavo piano piano dalla dolcezza dell’infanzia, avviandomi verso un periodo più salato, ma all’epoca i due sapori coabitavano ancora in armonia nella mia esistenza… Avevo tempo per abituarmi al gusto del sale degli anni a venire. Se si propende per un pecorino sardo in sostituzione del romano per questo antipasto, allora la scelta di sottofondo musicale potrebbe ricadere sulla bellissima “Spunta la luna dal monte” che fu presentata nell’edizione del 1991 da Pierangelo Bertoli e i Tazenda (sardissimi questi ultimi, per l’appunto).
Rullo di tamburi, quale sarà il prossimo piatto? E chi ci sarà dietro?
- Involtini di carciofini sott’olio e speck
a cui abbino “Vattene amore” di Mietta e Amedeo Minghi (1990).
Due sapori salati e armoniosi, nessuno sovrasta l’altro. Cuor di carciofo avvolto negli aromi affumicati dello speck e anche un “trottolino amoroso duddù daddaddà” ci può stare.
Ma se si pensa che siamo passati dal sentimentale e personale taratarataratattattattà delle Canzoni di Mietta al globale e universale tattàttà dell’Eden di Rancore, si nota che di acqua sotto i ponti ne è passata, i tempi e i messaggi sono cambiati e Sanremo è anche questo: lo specchio del tempo che passa, dei linguaggi e dei simboli che cambiano, si evolvono. All’epoca, quello che capitava nelle canzoni, non poteva succedere in nessun posto del mondo. Oggi invece… Pare un attimo – una vutata r’uocchie -, e invece sono passati 31 anni!
Minghi, poi, mi riporta a un ricordo della fine degli anni ottanta, sospeso tra Procida e Ischia. Mia madre e altri due adulti della famiglia, erano suoi grandissimi fan. Un’estate del periodo citato, Amedeo Minghi fece un concerto al Negombo di Ischia. “Amma i, nn’amma i’, po’ a na cert ora ‘nc stann cchiù mezz, comm amma turnà?”** era la conversazione tormentone tra mia madre e gli altri due per decidere se andare o meno al concerto. Alla fine si decise di andare e ci imbarcammo in una piccola grande avventura. Raggiungemmo Ischia col traghetto e il Negombo con la motoretta. Ci ascoltammo le varie “Vita mia”, “1950” e successi vari del cantautore romano, sotto l’argento delle stelle di una bellissima notte d’estate e nel blu dei riflessi delle piscine notturne illuminate del Negombo. Eravamo estasiati, grandi e piccoli. E c’era una cosa che ci teneva svegli ed entusiasti anche a fine concerto: saremmo tornati a Procida “cu vuzz”. Propriò così, un gozzo che i grandi avevano prenotato venne a prenderci vicino al Fungo di Lacco Ameno nel cuore della notte e ci riportò a Procida. Fu una notte indimenticabile e un primo incoraggiamento ad andare a sentire concerti anche in posti scomodi da raggiungere, l’importante è arrivare ed escogitare un modo per tornare. Ma soprattutto, la cosa fondamentale è respirare, vivere musica, dal posto più vicino possibile.
Ma arriviamo al re della serata, al piatto principale (e anche di rinforzo, visto che siamo nel cuore delle esibizioni dei cantanti in tv). Signore e signori, il – e devo dire che mi è venuto proprio “UN”- Signor Ragù.
- Ziti tagliati con ragù
Chi se la ricorda, avrà forse già immaginato a quale canzone abbino questo piatto… Ne cito il ritornello:
“A me quello che mi consola, è l’addora ra pummarola, perché ciò che mi tira su, song ‘e zite con il ragù. La fortuna è fugace si sa, l’amor, l’amor, l’ammore viene e va, ma il maccherone resta, eh eh, nun ce sta nient a fa”
“Il babbà è una cosa seria” di Marisa Laurito (sempre 1989)
Ci vogliono per forza gli ziti, che si trovano a Lille sempre allo stesso posto (Carlier Vogliazzo a Rue Gambetta o a Roubaix) e che ho fatto tagliare accuratamente dagli uommen invitati della serata: un debutto per loro e se la sono cavata egregiamente.
Questo abbinamento è stato proposto anche per le 6 ore, il tempo ideale di cottura per un buon ragù… 6 ore è anche la durata di una serata di Sanremo, più o meno, anche se quest’anno, con Amadeus che allungava u bror, si ha avuto l’impressione che durasse anche di più, pure Fiorello a un certo punto nun cia facev quas cchiù (citando qualcuno del mio commentarium su Whatsapp).
Ci può scappare una struggente Lacryma Christi del Vesuvio per accompagnare gli ziti con il ragù, soprattutto se ce la fa scendere il grande Ninucc, ancora di più se si presenta Senza giacc e cravatt .
Tra una canzone e l’altra, un fou rire (risata a crepapelle) e l’altro, si arriva al dolce.
- Nu bellu Tiramisù
A chi lo abbiniamo? …. Hanno praticamente tirato su tutto il teatro Ariston la sera della loro esibizione a questo Sanremo 2020 , facendo ballare il pubblico sfrenatamente. Non potevo non associarli proprio al Tiramisù… I Ricchi e poveri e la loro “Se m’innamoro”, di cui ricordo nitidamente la vittoria nell’edizione del 1985.
Proprio come questo dolce, i Ricchi e Poveri sono un classico intramontabile e da esportazione. E poi danno la carica del caffè, il brio dell’amaretto per chi ce lo mette.
- Dulcis in fundo: il limoncello
Ma concludiamo con un digestivo 100% made in sud, il procidanissimo Limoncello di mia mamma, accostato a un altro grande prodotto musicale 100% made in sud “Una favola blues” di Peppino di Capri e Pietra Montecorvino (1992).
Il limoncello di mammà, pura poesia, qualcosa che sta lì in freezer, da tirare fuori per le grandi occasioni, da bere in compagnia. Peppino Di Capri, poi, è uno dei cantanti preferiti di mio padre e ricordo di come papà era contento quando Peppino veniva a fare un concerto al campo sportivo o in piazza a Procida. “Cameriere Champagne” cantava Peppino ai suoi concerti procidani… e invece no, per stasera, pure si stamm mmiez e francisi, “Cameriere Limoncello!”.
Abbiamo avuto il piacere di ascoltare anche Pietra Montecorvino sotto il cielo stellato procidano, e questa canzone è davvero una perla, vale la pena tirarla fuori ogni tanto, proprio come il limoncello dal freezer per i piccoli-grandi brindisi.
Momenti esilaranti, in giro per social…
Chiudo gli abbinamenti canzoni e pietanze, con una piccola rassegna di screenshot di momenti per me molto esilaranti.
Primi due: uno di #Saittellatv, sulla caduta che stava per fare Al Bano entrando in scena la prima sera. L’altro dei #TheJAckal , su uno dei travestimenti del geniale Achille Lauro.
Non poteva mancare tra i mei screenshot, Nonna Rosetta di #CasaSurace.
Per concludere questa rassegna di screenshot di momenti divertenti legati al festival, ne propongo due su Elettra Lamborghini, tra i personaggi che mi hanno maggiormente divertita e anche incuriosita (un po’ a sorpresa) in questa edizione di Sanremo. Uno screenshot l’ho preso dai commenti alla sua prima esibizione su youtube. L’altro, viene ancora una volta da #CasaSurace e dalla grande Nonna Rosetta.
La musica e i momenti che restano nel cuore anche quest’anno
Oltre alla bellissima Fai rumore che ha vinto questa edizione, c’è sempre qualcosa da ascoltare in loop che esce dalle sere di Sanremo e accompagna a volte per giorni e giorni. Questa cosa quest’anno mi è successa con Tosca e Silvia Perez Cruz, con la loro sublime Piazza Grande e con la Luce di Rancore e La rappresentante di lista (dai commenti su Whatsapp, a un certo punto è uscito “Chest averament s chiamm accussì?”).
E poi mi rimane in testa la canzone della Longa (definizione venuta fuori sempre dai commenti su Whatsapp) e rido ogni volta che penso all’intro “Elettra, Elettra Lamborghini” cantato dal coro dell’orchestra di Sanremo (concentrarsi sui primissimi secondi delle sue esibizioni) e imparato e ripetuto scherzosamente da alcuni invitati esteri della mia serata.
Se avessi proposto nella mia “pinguinata” la ricetta del pesce fiuto*** magari l’avrei illustrata con l’esibizione della quarta sera di Morgan e Bugo 😉 .
La chiudo qui, o potrei scriverci un romanzo su tutto quello che mi ispira di solito Sanremo.
Appendice seria: ricetta del mio (signor) ragù
Ingredienti per 6 persone
- 500 grammi di corazza di manzo (se abitate in Francia, questo pezzo di carne corrisponde al Paleron)
- 4 tracchie (o puntine) di maiale tagliate un po’ doppie (sempre se abitate in Francia, la tracchia qui si chiama Lard, ma attenzione, non dev’essere affumicata, deve essere fresca!)
- Una cipolla
- 6 cucchiai di olio EVO
- Un bicchiere di vino rosso bello corposo
- Due tubetti di concentrato di pomodoro (da 130 g l’uno)
- 2 bottiglie di passata di pomodoro, corrispondenti a 690 g ciascuna
- 700 g di ziti da spezzare con le mani
Preparazione
Fare la cipolla a pezzettini e versarla in una pentola insieme all’olio. Girare per un paio di minuti e aggiungere la carne, facendola rosolare. Bisogna girare costantemente per non far bruciare la cipolla. Quando la carne è bella rosolata e la cipolla è trasparente, versare il vino, continuando a cuocere fino a quando il vino non evapora. Aggiungere il concentrato di pomodoro e continuare la cottura. Quando il concentrato si è ben amalgamato con la carne, aggiungere la passata. Abbassare la fiamma (o l’intensità della francesissima placca elettrica) al minimo, lasciar pippiare con coperchio (mettere cucchiaio di legno tra coperchio e pentola). Non dimenticare il ragù sul fuoco, andarlo a girare ogni tanto per non farlo attaccare alla pentola. Il tempo ideale di cottura va dalle 4 alle 6 ore. La pasta ideale ovviamente sono gli ziti, che hanno secondo me una difficile cottura: assaggiarli per scolarli al dente. Buon appetito e buon ascolto delle ultime canzoni di Sanremo 😉
Appiccichi* : litigate
“Amma i, nn’amma i’, po’ a na cert ora nc stann cchiù mezz, comm amma turnà?”**: Dobbiamo andare, non dobbiamo andare, poi a una certa ora non ci sono più traghetti, come dobbiamo tornare?
Pesce fiuto***: Letteralmente “Pesce scappato”. Si tratta di una ricetta procidana a base di pane. Non mancherò di dedicare un post specifico al pesce fiuto.