Chiedere mezz’ora di permesso senza dare spiegazioni mentre si sta in teleworking cu’ i francisi o prendere lo stesso tempo in una giornata di ferie solo e semplicemente per…. andare alla paranza da Solchiaro alla Marina! Eh sì, ci sono riti che proprio non si possono spiegare. Dal lunedì al venerdì, verso le 15h-15h15 – tranne tra settembre e ottobre, che ci sta il fermo biologico – si parte e si va a vedere cosa si è pescato ed esposto nei cascettini e nei polistiroli della paranza. “Muvimmece ca sinò nun truvamme cchiù niente!”* esortava mio padre abbottonando l’ultimo bottone della camicia a quadri p’ascì (per uscire) indossata rigorosamente ogni volta che si andava alla paranza d’estate.
Papà riconosceva a vista la freschezza del pescato. Se aveva dubbi, prendeva in disparte me e mia madre, sempre in prossimità del cascettino sospetto, e diceva “‘sti pisce u piscatore ca r’a pischéte è muorto re vicchiaia”**: la sentenza che avrebbe catapultato i nostri occhi speranzosi su altri cascettini.
Cicaredde (canocchie), cuocci (gallinelle di mare), tutanieddi, miezzi pisce (triglie, merluzzetti e suaci), alici, secce (seppie) e pulepetiéddi sono una costante nei cascettini in bella mostra sul banco della paranza. C’è solo l’imbarazzo della scelta.
Quest’estate mi sono recata un paio di volte alla paranza per provare a riprodurre, personalizzandola, una pietanza che non ebbe origine sull’isola di Ponza, bensì a Ventotene o, almeno, non so se è proprio nata sull’isoletta, visto che è proposta da vari chef nazionali, ma io l’ho assaggiata lì la prima volta.
Si tratta di una pasta mista di mare che il ristorante il Giardino a Ventotene preparava l’anno scorso, ad agosto, con pesci di scoglio. La mia versione è con pescato di paranza e, come tutti i piatti che si provano a riprodurre per prolungare le atmosfere di un posto o di una stagione, è un po’ come l’estate che trasciniamo verso le soglie dell’autunno, insieme all’asciugamano verso riva, a Cala Nave, dalle cinque in poi, per prendere l’ultimo pezzetto di sole del pomeriggio, insieme agli ultimi raggi di tepore settembrino.
Preparare la pasta mista a distanza di tempo e spazio dal primo assaggio è anche come alzare lo sguardo per vedere tra una stella e l’altra quel puntino luminoso e mobile che sta diventando la mongolfiera lanciata poco prima, durante la novena di Santa Candida, è guardare nostalgica e incantata i lineamenti del fratello della nonna trascinare e calcare quelli di lei, da Ventotene a Procida, da Procida a Ventotene.
Più che legittima, quindi, quella mezz’ora di latitanza – per cui si è comunque chiesto permesso – per recarsi alla paranza a procurarsi gli ingredienti fondamentali di questa ricetta. Una volta scelto il pescato e di ritorno a casa, mani alle forbici e fruvicini (forbicette) per la pulitura, attività meditativa da me sempre molto apprezzata, come a ripetere i gesti precisi e lenti della nonna. Di quella nonna di Ventotene.
Ingredienti per 4 persone
- ⅕ kg di cicaredde (canocchie)
- 3 calamari medi
- 3 cuocci (gallinelle di mare)
- Una manciata di totanetti (se disponibili)
- 300 grammi di pomodori datterini
- 5-6 pomodorini per il brodo
- 6 cucchiai di olio EVO
- Mezzo bicchiere di vino bianco
- Due spicchi d’aglio
- Peperoncino se gradito o pepe nero q.b
- Un ciuffetto di prezzemolo
- 400 grammi di pasta mista
Procedimento
Una volta pulito e sciacquato tutto il pescato, disporre le canocchie intere in una pentola e farle saltare 3-4 minuti a fuoco lento fino a quando non diventano rosacee. Farle raffreddare e sgusciarle. Separare la polpa dai gusci e le teste che andranno conservati. Mettere gusci e teste in una pentola media piena d’acqua (il necessario per preparare un brodino), aggiungere 5-6 pomodorini, uno spicchio d’aglio, un po’ di prezzemolo e un pizzico di sale. Lasciare il tutto sul fuoco a fiamma bassa per almeno un’ora.
In una padella antiaderente mettere 6 cucchiai di olio EVO, uno spicchio d’aglio, una punta di peperoncino se gradita e 300 grammi di pomodori datterini tagliati a metà. Lasciare appassire i pomodori a fiamma bassa per 7-8 minuti. Aggiungere i cuocci interi e i totanetti, sfumandoli a fiamma alta con mezzo bicchiere di vino bianco. Abbassare di nuovo la fiamma e lasciare cuocere per 10-15 minuti.
Pulire e aprire i calamari che saranno grigliati mentre la pasta si cuoce.
Prelevare i cuocci dalla padella e spolparli facendo attenzione a eliminare tutte le spine. Mettere le polpe di nuovo nella padella col sugo e i totanetti. Aggiungervi anche la polpa di cicarella preparata precedentemente.
Filtrare il brodo di cicarelle, portarlo a ebollizione e cuocervi la pasta mista senza completarne la cottura. Quando la pasta è in una fase precedente alla cottura al dente (assaggiare), prelevarla con una schiumarola e terminare la cottura nel sughetto a fiamma bassa. Aggiungere del brodo di cicarelle se risulta asciutta. Mentre si effettua questa fase, grigliare i calamari e tagliarli a striscioline: bastano 1-2 minuti, na vuciata e na girata sinò addiventa tuosto***.
Quando la pasta risulta al dente e il calamaro è grigliato e tagliato, impiattare decorando ogni porzione con striscioline di calamaro e ciuffetti di prezzemolo fresco.
“Muvimmece ca sinò nun truvamme cchiù niente!”* : Sbrighiamoci altrimenti non troviamo più niente (riferito al pescato del giorno da acquistare presso la paranza).
“‘Sti pisce u piscatore ca r’a pischéte è muorto re vicchiaia”**: Questi pesci il pescatore che li ha pescati è morto di vecchiaia.
Na vuciata e na girata sinò addiventa tuosto***: Girare velocemente da una parte all’altra altrimenti si indurisce.