Tunz, tunz, tunz, tunz… esce la musica dai bassi potenziati del macchinone di turno comprato coi soldi dell’ultimo imbarco. La prima rata, poi con gli altri imbarchi si pagherà il resto. Possibile che l’automobile nuova, fiammante e squadrata rappresenti ancora uno status simbol per un certo tipo di procidanissimo homo maritimus contemporaneo di successo? Tunz, tunz, tunz, prima, seconda, al limite terza.
A machin arriv fino alla quarta, alla quinta – che vi pensate? – sfreccia veloce sulla Panoramica, sgomma, brucia l’asfalto della Via Nuova. Via Libertà quella si chiama, quale Via Nuova? Odore di smog, puzza di gomma bruciata. È questo il profumo di libertà? Tunz, tunz, tunz. A tutta birra sulla segnaletica da poco imbiancata della via Nuova.
Quella era pure la strada per arrivare dove abitavano due amiche del liceo, una più piccola, l’altra di poco più grande di me. Erano gli anni ‘90 e pure allora ogni tanto si sentiva la macchina del pilota di formula 1 di turno fresco di sbarco. Lo si poteva incontrare proprio poco prima di imboccare il vicoletto per raggiungere casa loro. Gli facevamo il verso, imitando il suono di quella musica monotematica “Tunz, tunz, tunz” che usciva dall’automobile appena comprata. On passait du coq à l’âne*, dal gallo all’asino, come dicono i francisi: chiacchieravamo del più e del meno mentre ci recavamo a casa loro per preparare i vestiti di carnevale. “Cosa ceni stasera quando rientri? Tua madre cosa ha preparato? Già lo sai?” chiedevano le amiche della via Nuova “Certo che lo so… Nel primo pomeriggio aveva messo a cuocere i tunz per fare la pizza. Si mettono pure le scarole, la bietola, i rapucciedd.” Rispondevo io, curiosa di sapere se dall’altro lato tutte le verdure appena annoverate suonavano familiari.
“Ha messo a cuocere i cosa?? I tunz, tunz, tunz?” e giù a ridere “cosa sono i tunz? E i rapucciedd?”. Sulla via nuova queste verdure non spuntavano, che quelle crescevano e crescono da sole nei posti di campagna desolata – ora ce ne stanno così pochi! – o nell’orto. La Procida urbana versus la Procida rurale: da piccola e adolescente avevo la fortuna di vivere entrambe le realtà e farmi ambasciatrice nel nuovo centro asfaltato dell’isola di quello che la natura periferica di Solchiaro ci offriva spontaneamente. L’appartamento in centro per facilitarci con gli studi e far sentire meno isolata mia madre. L’orto da coltivare e le nonne a Solchiaro da andare a trovare. Papà pensava proprio a tutto per farci campare comodi, come diceva lui.
“Non li conoscete i tunz?” chiedevo sorniona alle mie amiche della via nuova “Li dovete assaggiare!” Si rideva di quelle parole buffe e si scherzava. “Dobbiamo creare una bella base musicale, da fare concorrenza a quello del macchinone e della tecno: tunz, tunz, tunz, fasul e past**, tunz, tunz, tunz” dichiaravano entusiaste. Risate con le lacrime agli occhi.
La Procida della Via Nuova, la Procida di Punta Solchiaro. È incredibile come su uno stesso, minuscolo scoglio di terra si possa essere ambasciatori di un qualsivoglia sapore. Ma come, su 4 chilometri quadrati non si mangiano le stesse cose? Ci si allenava all’epoca: parlare dei sapori di casa da Solchiaro alla Via Nuova, per poi portarseli dietro anche da Procida a Lille. Dall’Italia alla Francia. Ma in città i tunz non si trovano, bisogna portarseli ogni volta in valigia, per ogni viaggio di rientro programmato a gennaio, oppure febbraio. I rapucciedde invece, li tengono pure i francisi e loro li chiamano i pissenlit***. Sempre in campagna, però, non sulle vie nuove.
Ingredienti
Per l’impasto (stessi ingredienti e procedimento della pizza di scarole)
- 300 g di farina
- 200 g di acqua tiepida
- Un cucchiaino raso di lievito secco o mezzo cubetto di lievito fresco
- Un abbondante pizzico di sale
Per il ripieno
- 1 scarola di media grandezza (sarà la verdura dominante)
- 1 fascetto di bietola
- 1 fascetto di tunz (foglie di crespigno)
- 1 mazzetto di rapucciedd (foglie di tarassaco)
- Olive nere snocciolate, pinoli, noce sgusciata a piacere (a seconda dei gusti)
- Uva passa se gradita, sempre a piacere
- Sale q.b.
- Olio EVO (3-4 cucchiai per soffriggere tutte le verure), un fondo di padella per cuocere la pizza.
Procedimento (Lo stesso della pizza di scarole)
Per la pasta della pizza, fare una montagnetta di farina e al centro aggiungere gradualmente l’acqua tiepida nella quale è stato sciolto il lievito, aggiungere anche il pizzico di sale. Impastare per bene fino a ottenere un impasto morbido ma compatto.
Lasciar riposare l’impasto per 4-5 ore in un luogo caldo e asciutto, in un recipiente ricoperto con uno straccio.
Prelevare la parte più tenera dei tunzi e dei rapucciedd. Pulire la bietola, togliendo i filamenti del gambo bianco. Tagliare la scarola, mettendo da parte il cuore (la parte interna più chiara) tagliarlo grossolanamente e metterlo da parte in una scolapasta adagiata sopra a un recipiente. Aggiungervi sopra un po’ di sale in modo da fargli cacciare tutta l’acqua residua.
Lavare tutte le verdure e strizzarla per bene. Farle bollire per 5 minuti. Farle raffreddare e strizzarle per bene. A questo punto, “le verdure s’anna affugà”, ovvero si devono ripassare in padella con un po’ d’olio EVO pe 7-8 minuti. Strizzare il cuore della scarola che si era lasciato crudo e metterlo in un recipiente insieme alle verdure saltate in padella. Mescolare il tutto.
Fare 2 pettole: prendere l’impasto della pizza e farne due palline (una un po’ più grande dell’altra), che saranno trasformate in pettole. Cospargere il piano di lavoro con un po’ di farina per stendere le pettole con un matterello.
Una volta ottenuto un primo disco un po’ più largo del diametro della padella su cui sarà stato distribuito un po’ d’olio (vedere immagine), adagiare la pettola sulla superficie della padella e distribuire uniformemente il misto “scarola, tunz, bietola, rapucciedd affughet-curniedd crudo” e cospargerlo di olive nere, noci a pezzettini, pinoli, uva passa.
Stendere la pettola numero due e ricoprire il ripieno. Usare la pettola di sotto per chiudere il ripieno. A questo punto, mettere la pizza sul fuoco in una padella con un cucchiaio d’olio EVO (il fondo della padella si deve ungere appena), a fiamma bassa e far cuocere lentamente sul primo lato. Dopo una decina di minuti guardare se il primo lato è cotto. Rigirare con un coperchio e far cuocere con lo stesso procedimento il secondo lato. La pizza deve essere ben dorata su ambo i lati. L’odore può essere un ottimo indicatore per capire se la pizza è cotta al punto giusto: è un odore di pane abbrustolito ma non bruciato. Disporre la pizza su un piatto grande e lasciarla intiepidire prima di tagliarla.
On passait du coq à l’âne*: “Si passava dal gallo all’asino” è un espressione che in francese si usa per dire che si passava da un argomento all’altro.
Fasul e past**: pasta e fagioli.
Pissenlit***: in francese si usa questo termine per definire la pianta di tarassaco. La parola pissenlit deriverebbe da “pisse en lit” (pipì a letto). L’origine di questo termine risalirebbe al XV secolo e sarebbe da associare alle proprietà diuretiche della piante.