Fin da quando ero piccola, il mio vedere potenziale comico in tutte le cose mi faceva ridere a crepapelle ogni volta che tra le opzioni della cena si nominava lui, o meglio, “iss”… “iddu”, come direbbero i siciliani… Alla domanda di mio padre “muser c’amma fa marenn” (stasera cosa c’è per cena), nella risposta di mia madre spesso faceva e fa capolino il signor “pesce fiuto” (letteralmente “pesce fuggito”). La semplicità del piatto non riusciva mai a suscitare il benché minimo interesse in me, bambina dal palato limitato e schizzinoso. Insomma, il pesce fiuto mi faceva scompisciare dalle risate, ma l’ho snobbato per anni e anni, solo di recente ho iniziato ad apprezzarne il gusto.
Si tratta di un piatto della cucina povera procidana e di altre zone della Campania. Ma da dove viene questo nome così buffo? Mio padre racconta che all’origine di questa pietanza non c’è un pesce che scappa dalla pentola, come immaginavo io da piccola, ma una pescata a vuoto.
Le mogli dei pescatori preparavano una pentola con l’acqua – e altri ingredienti – che avrebbe accolto il pesce pescato dai mariti. Poteva capitare, però, che non si pescasse niente e che gli uomini tornassero a casa a mani vuote. In questi casi, bisognava accontentarsi della semplice “acqua pazza” col pane inzuppato: ecco da dove viene l’origine del pesce fiuto. Si tratta anche di una ricetta anti spreco, visto che viene utilizzato pane raffermo, anche vecchio di vari giorni.
Il piatto è quindi a base di pane, acqua, pomodoro, aglio, prezzemolo, olive nere e può essere arricchito anche da uovo “a zuppetedd” (tipo in camicia).
L’opzione con le uova era spesso cucinata da mia nonna materna. Partono quindi i ricordi di mia madre sulla “caccia all’uovo”. Tutti all’epoca mangiavano il pesce fiuto nella stessa zuppiera e ovviamente non era previsto un uovo a testa. Appena la zuppiera veniva portata a tavola, scattava la mano lesta di chi era più abile di tutti ad aggiudicarsi un uovo. Se non si era abbastanza veloci si finiva per mangiare il piatto non solo col pesce, ma anche con l’uovo fiuto.
Smettere di immaginare pesci che guizzano fuori dalla pentola quando si parla di “Pesce fiuto”, quindi, può essere anche segno di crescita nella propria procidanità.
Guardiamo come preparare un buon pesce fiuto. Riporto, come sempre, il procedimento fatto in casa dai miei genitori. C’è chi mette la cipolla, a casa mia a Procida il pesce fiuto si è sempre fatto solo con l’aglio, o meglio, con la “stacca r’egghie”.
Ingredienti per 4 persone
- 5-6 pomodori del piennolo
- Un bel ciuffetto di prezzemolo
- Una foglia di aglio fresco (a stacca r’egghie)
- 400 g di pane raffermo (tipo palatone o pane cafone)
- 200 g di olive nere di Gaeta
- Opzionale: 2 uova
- Olio EVO: un cucchiaio a testa
- Sale e pepe q.b. (fare attenzione alle olive, già salate)
Procedimento:
Riempire una pentola con l’acqua e immergervi i pomodori, il prezzemolo e la foglia d’aglio.
Portare il tutto a ebollizione. Lasciar cuocere per 10-15 minuti. Aggiungere le olive snocciolate e l’olio. Aspettando che la pentola inizi a bollire, tagliare il pane grossolanamente in una zuppiera.
Una volta pronto, versare il contenuto della pentola sugli ingredienti della zuppiera e mescolare per bene.
Se si vogliono aggiungere le uova, bisogna farlo quando l’acqua sta iniziando a bollire piano, aprendole e versandone tutto il contenuto nella pentola: bisogna rispettare lo stesso procedimento di un uovo in camicia. Creare un piccolo vortice d’acqua e metterci il contenuto dell’uovo.
“‘Na fuiuta
‘na sagliuta
‘na currut’a mezanotte
uno roie tre e quattro
cinche sei sette e otto
‘a campana fino a ddurece
fuje ‘a jatta e pur’e surece”
è la canzone che mi fa pensare al pesce fiuto… E nell’opzione con le uova “Piglia o can, acchiapp o can” potrebbe essere sostituito con “piglia l’uov, acchiapp l’uov…”
Disponibile anche in questa bellissima versione delle Ebbanesis, proposta anche a Procida in un mini concerto per la Sagra del Mare nell’estate del 2019.